6 agosto 2006

La via della beat generation

 

Il Comune di Buccinasco ha dedicato un percorso alla generazione ribelle che ha contraddistinto gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. 
Il City Lights Bookshop di San Francisco si trova nel vecchio quartiere italiano di North Beach. Fondata da Peter Martin, figlio del martire anarchico Carlo Tresca e da Lawrence Ferlinghetti nell’anno 1953 divenne ben presto la libreria della cultura alternativa. Nel 1956 la pubblicazione di “Howl e altre poesie” di Allen Ginsberg scatenò un putiferio per le narrazioni relative alle esperienze di Ginsberg e dei suoi amici e del loro stile di vita e per il processo per oscenità che ne seguì. Il testo include molti riferimenti a figure centrali del movimento beat tra cui Jack Kerouac autore di “On the Road” pubblicato nel 1957 e “Il Pasto nudo” di William S. Burroughs del 1959.

Anche se Howl non fu la prima uscita letteraria dei beat, già anticipata da John Clellon Holmes nel suo famoso articolo sul New York Times del 1952, ne segna tuttavia il momento dell’affermazione.

La generazione beat non amava le etichette che contribuivano a classificarla entro un periodo e un movimento definibile. La loro rivolta abbracciava tutto il modo perverso del secondo dopoguerra.

Ribellione fine a se stessa ma soprattutto spontanea, viscerale piena di esperienze diverse anche se a volte senza senso in tutti i campi della cultura. Estasi, denunce, scrittura spontanea, spontaneità nella scrittura e soprattutto lavori e posizioni controverse. E’ l’America della caccia alle streghe di MacCarthy, del cambiamento del vivere americano che va dalla città all’anonimato sperduto dei sobborghi. America prossima al Vietnam. Amore per l’America di Ginsberg confusa spesso come antiamericanismo dalla rilettura europea delle sue opere. Libertà, amore. I beat cambiarono un modo di pensare se non di vivere. La loro opposizione alla macchina industriale militare è stata incessante al pari del loro interesse per l’ecologia prossimo alla filosofia dell’ecologia sociale utopica di Murray Bookchin. La censura ha finalmente cambiato molti parametri come pure la demistificazione di alcune leggi contro le droghe leggere. Nel campo della musica Jerry Garcia, Bob Dylan hanno rivoluzionato il ritmo e la canzone popolare di protesta. E non ultimo il rispetto che Jack Kerouac ha per gli indigeni e la loro terra. Generazione battuta ma non doma.

L’abbiamo conosciuta attraverso le memorabili introduzioni e  traduzioni di Fernanda Pivano.

“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa” Cosi incomincia Howl. E’ così lo possiamo anche leggere oggi nella piazzetta degli orti dedicata alle opere degli artisti beat srotolato su una pergamena. E’ a metà del percorso noto come la Via della Beat Generation che il comune di Buccinasco ha inaugurato il 26 giugno 2006 nello spazio dedicato agli orti di quartiere. Orti di via degli Alpini. I pomodori veri sono rosso sangue e l’insalata cresce verde e rigogliosa. Le zucche lanciano i loro fiori gialli verso il sole. Verde di tutte le tonalità. Fichi. Sembra la valle di Canaan dove scorre latte e miele. Orti ben tenuti, ben trattati. All’ingresso tre gigantografie dipinte con le bombolette da studenti dell’Università di Torino salutano Kerouac, Ginsberg e Neal Cassady.

Due targhe tracciano la storia della beat generation ed elencano i principali protagonisti. Il vialetto di ghiaia che affianca gli orti comunali risplende di stendardi gialli in cima a forti canne di bambù dove sono sistemate le targhe individuali con la biografia breve dei personaggi che hanno segnato la storia beat. Bello fermarsi sotto lo sguardo perplesso o curioso dei nuovi angeli della terra coltivata, a cullare con amore il ricordo di chi ha influenzato gli anni del nostro dissenso di quaranta anni fa. Non manca nessuno. Meglio non citarne troppi. Frank O’Hara, Gary Snider, Denise Levertov, Gregory Corso, Philip Lamantia, Dianne di Prima, Michael McClure, LeRoi Jones, Robert Duncan. Sì, ci sono tutti. Keruac è di fronte alla pergamena di Howl in un angolo vicino a un albero di fico. Niente fiori, Jack. Anche il bambù è già spezzato.

Orti comunali. Beat generation. Tanti pensieri. Carlo Ferlinghetti da Bovegno, provincia di Brescia emigrato negli USA a fine Ottocento.

Lawrence Ferlinghetti simbolo di un sogno americano analizzato, sezionato, contestato, amato.

Un Ferlinghetti sempre sulla barricata che può anche essere ricordato per l’amore verso la patria del padre, per gli italiani che avevano perso gli orti familiari nel loro cambio con l’America o almeno la sua America, quella della città di San Francisco. Gli italiani ormai divenuti cittadini._

Gli italiani

 

Per anni i vecchi italiani sono morti

In tutta l’America

Per anni i vecchi italiani con i cappelli di feltro sbiaditi

Hanno preso il sole e sono morti

Li avete visti sulle panchine del

Parco di Washington Square

I vecchi italiani con le scarpe nere abbottonate

I vecchi con i cappelli di feltro col nastro macchiato

Sono morti e sono morti

Giorno dopo giorno…

Li avete visti

Quelli che davano da mangiare ai piccioni

Spezzando il pane stantio

Con pollici e temperini

Quelli con i vecchi orologi da tasca.

Quelli con le mani nodose

E sopracciglia selvagge

Con insieme cinture e bretelle

I bevitori di grappa con i denti come il grano

I piemontesi i genovesi i siciliani

Che odoravano di aglio e peperoni

Quelli che amavano Mussolini

I vecchi fascisti

Quelli che amavano Garibaldi

I vecchi anarchici che leggevano L’Umanità Nova

Quelli che amavano Sacco e Vanzetti

Se ne sono andati tutti ormai…

 

Da “I vecchi italiani morenti” di Lawrence Ferlinghetti