2 luglio 2007


Renzo Dionigi: una vita per la medicina e per la storia

 

Il professor Renzo Dionigi ha dedicato la vita alla medicina e con lo stesso fervore ha analizzato e ampliato le conoscenze intorno alla storia che gli stava accanto.

L’incontro con il professor Renzo Dionigi è stata un po’ casuale. Una recensione del suo volume “Sono in America: lettere di Giulio Adamoli al padre, Boston 1866-1867” di Giuseppe Armocida, rimasta nascosta nella pila di documenti da evadere ha finalmente catturato la mia attenzione. Poi, un’analisi della sua carriera professionale mi ha illuminato. 

Renzo Dionigi si laurea in medicina e chirurgia presso l’università degli studi di Pavia nel 1965. Dal 1968 al 1970 è surgical research fellow al reparto di chirurgia dell’università di Cincinnati nell’Ohio, USA. Lavora nella divisione dei trapianti di organi. Nel 1980 diventa professore associato di chirurgia generale nell’istituto di patologia chirurgica dell’università di Pavia.

Ottiene innumerevoli incarichi sia in Italia sia all’estero e la sua attività scientifica non conosce soste. 18.000 e più interventi chirurgici soprattutto di chirurgia oncologica maggiore non richiedono molte spiegazioni. Innumerevoli saggi. Sulle nuove tecnologie in chirurgia riservate agli addetti ai lavori come “La rigenerazione epatica dopo epatectomia con differenti tecniche di clampaggio ilare” oppure i trattati di Chirurgia per studenti di medicina e specializzandi. Oltre 700.

A partire dagli Anni novanta ha dedicato molto tempo alle istituzioni universitarie a Varese ha portato un gruppo di medici accademici per creare una facoltà di medicina autonoma ben inserita nel sistema lombardo con proposte nuove, moderne e competitiva a livello internazionale. Si deve a lui la capacità di coordinamento che ha generato lo sviluppo del polo universitario di Varese e Como che oggi vanta oltre 11.000 studenti nelle varie facoltà e specializzazioni di medicina e chirurgia, economia, scienze matematiche, fisiche e naturali, giurisprudenza.

Università in movimento inserita nel tessuto sociale e della città e della Lombardia con  un disegno ben preciso nei confronti del territorio e del mondo intero.

Scorrendo le pubblicazioni di Renzo Dionigi si avverte in fretta un senso di meraviglia nel constatare la sua attenzione al mondo circostante che spaziano dalla chirurgia generale alla immunologia delle neoplasie per addentrarsi nelle ricercatezze della pesca alla valsesiana  e della cartografia degli Insubri e dell’Insubria. Dispersivo? Niente di tutto ciò.

Il volume sulle lettere al padre del varesino Giulio Adamoli è il risultato della curiosità creata dal regalo di una pubblicazione sullo stesso Adamoli curata da Giuseppe Armocida in occasione delle nozze a Boston della figlia Adriana. Applicando la stessa tecnica e precisione, ma sì chiamiamola chirurgica, Renzo Dionigi va alla ricerca delle persone e dei luoghi visitati da Adamoli durante il suo viaggio americano. Lavoro interessante, da paziente certosino ostacolato dalle sue inesattezze dovute alla padronanza sommaria di Boston. Una città che non aveva ancora la forte presenza italiana e dove Adamoli viene a contatto con chi regge le redini dell’economia, appena al termine della guerra civile, e ne vive le contraddizioni. America diversa, dove mancano i racconti epici delle traversate e le difficoltà d’inserimento, nonostante i viaggi in barca a vela. Le lettere di presentazione, tra cui quella di Mazzini, gli aprono le porte dei salotti della città. Valga per tutti l’incontro col il sommo poeta Henry W. Longfellow, traduttore della Divina Commedia e autore dell’epica Evangeline. Renzo Dionigi ha corredato le lettere con fotografie d’epoca di Boston, soprattutto dei luoghi visitati da Adamoli, documenti e trafiletti di giornali inerenti alle varie citazioni e, naturalmente, le cartine e le mappe che ha scelto con professionalità. In fondo una bella fotografia di Giulio Adamoli diventato, alfine, senatore del regno che sembra guardare lontano verso un mondo sfiorato, ma certamente apprezzato.

Le ricerche effettuate per la stesura durante e la compilazione di “Insubre et Insubria nella cartografia antica” sono servite certamente come metodo sia per il libro su Adamoli sia per il ponderoso “An Italian Exile in Brahmin Boston, 1836-1839: Antonio Gallenga” (Un esiliato italiano nella Boston dei Bramini, 1836-1839: Antonio Gallenga” pubblicato dalla Insubria University Press sotto l’egida dell’International research center for local histories and cultural diversities della università dell’Insubria di Varese (Centro internazionale di ricerca di storia locale  e diversità culturali). L’edizione è in lingua inglese in quanto si rivolge soprattutto agli studiosi anglosassoni per evidenziare il contributo dei letterati italiani soprattutto prima della Guerra civile, spesso offuscato dalla connotazione non sempre positiva dell’emigrazione di fine ottocento. Renzo Dionigi scava nella Boston del 1830-1840 per riportare alla luce il periodo americano di Antonio Gallenga, tema poco approfondito dai suoi biografi che si sono concentrati sul lungo periodo di permanenza in  Inghilterra. Gallenga, che era nato a Parma  nel 1812, prese parte ai moti carbonari del 1831, indi fuggì in Francia e si presentò poi a Mazzini offrendosi di assassinare il re Carlo Alberto, ma rinunciò durante i preparativi e dopo diverso girovagare finì a Tangeri, da dove salpò per l’America con qualche lettera di presentazione e con la speranza di poter insegnare lettere italiane ad Harvard. L’amicizia con Longfellow, Everett, Prescott ed altri notabili bostoniani, non l’aiutò ad affermarsi, nonostante una veloce padronanza della lingua inglese gli permise di tenere conferenze letterarie un po’dappertutto. Poca fortuna con le donne e anche paura di affrontare una società in forte sviluppo. Grande fatica per Renzo Dionigi sulle tracce di Antonio Gallenga che usava pseudonimi (Mariotti ad esempio) sia per se stesso che per altre persone che incontrava. Esule del gruppo dello Spielberg ovvero di Maroncelli e Foresti, non riuscì ad essere un emigrante come gli altri e fu naturale, quindi, il ritorno in Europa dove alla fine si stabilì a Londra ed ottenne   un certo successo sia come scrittore sia come corrispondente del Times. Il palazzo Gallenga Stuart di Perugia che dal 1926 è sede dell’università per stranieri fu di proprietà dei discendenti di Gallenga tornati in Italia. Come per “Sono in America”, Renzo Dionigi si è calato nell’epoca di permanenza di Gallenga a Boston e ha raccolto giornali, libri, stampe, fotografie per illustrare il periodo e contestualizzarne la permanenza temporanea. Non c’era posto forse per un intellettuale in un mondo che preferiva di fatto i commerci e il lavoro manuale. Sorte identica, o quasi, a quella toccata ad altri italiani che servivano poco al miglioramento della nazione. Occorrevano altre persone, soprattutto braccia. L’Italia era apprezzata e molti bostoniani vi trascorrevano molto tempo durante i loro viaggi in Europa, ma questo non si traduceva sempre in lavoro per gli intellettuali. Il tribolato e difficile periodo di Harvard fu però decisivo per la formazione del Gallenga scrittore. Lasciò l’America per l’Inghilterra nel 1839 dove morì nel 1895. Trascurata la sua opera letteraria, il suo ricordo continua ad essere legato al tentativo di assassinare Carlo Alberto. Renzo Dionigi è orgoglioso del suo libro su Gallenga e ha ragione. Digressione dalle occupazioni principali.  Bello tornare a Boston con la voglia di cercare di far rivivere il posto dove vive, dove passa molto tempo sia per diletto sia per affetti familiari.

Scoprire un passato con le capacità del presente. Ah Gallenga. Il suo incontro con Bachi, l’insegnante di italiano nel 1836 a Boston. La Tremont House dei bramini. I nomi dei notabili che hanno dato il nome a tante città: Everett ad esempio. Il panico del 1837. Harvard mitica. Longfellow, Prescott, Dana. Lorenzo da Ponte, non soltanto librettista di Mozart e venditore di libri da Conegliano. I prigionieri dello Spielberg in America. Uno di quei libri da tenere sul comodino e gustare ogni tanto e pensare al protagonista dallo sguardo svagato, ma soprattutto al suo autore.

Renzo Dionigi, chirurgo dell’anima._