15 maggio 2008
 

Al Canada: lo sbarco degli emigranti. Nuove delusioni. 

 

Ogni giorno è una nuova sorpresa. Credevo che proseguendo i piroscafo sino a Montrèal, gli emigranti avessero a sbarcare colà, e che a Quebec scendessero solo quelli che avevano il biglietto per questa città : invece li hanno fatti discendere qui tutti.

Quebec, per chi rimonta il San Lorenzo, è sulla collina di destra, la quale, come quella di sinistra, continua ad accompagnare il fiume, formando  una serie ininterrotta di scenari stupendi.

Di mano in mano che discendono, gli emigranti si dispongono coi loro bagagli sulla banchina, lungo la quale c’è una tettoia per il ricovero dei passeggeri e delle merci e, in una pulita casa di legno, gli uffici d’emigrazione e della dogana, e per il cambio della moneta e la distribuzione dei biglietti ferroviari della Compagnia del Grand Trunk. La compagnia del Canadian Pacific, che, come la prima, passa per Montrèal, è dall’altra parte….I passeggeri vengono sbarcati or sull’una or sull’altra riva, perché entrambe le Società abbiano ad essere contente. La giornata è serena ; ma soffia un vento secco di tramontana che fa alzare i baveri agli emigranti. Per un po’ è una confusione in cui nessuno si raccapezza. I nostri contadini aspettano che qualcuno li diriga e li istruisca. Capita in mezzo ad essi un interprete, un italiano che parla anche l’inglese ed il francese, ma non è troppo disposto a dar notizie sull’esser suo.

Quelli che sono diretti a Montrèal devono essere passati all’altra riva: intanto aspettino. Essi ne approfittano per correre in cerca di pane. A gruppi entrano nei negozi che si trovano nelle case situate ai piedi del colle, sulla riva; poi se ne tornano con enormi pani bianchi, che cominciano subito a divorare. Si vede che erano proprio affamati. Del resto, nello sbarco essi non avevano avuto alcuna noia. Nessuno, contrariamente a quanto lasciavano supporre i bandi del Governo del Canada e le domande ad essi rivolte durante la traversata, , si è assicurato se avessero o non avessero denaro. I bandi erano dunque lettera morta, l’interrogatorio subito a bordo una mera formalità. Gli emigranti sono poi passati coi loro bagagli, senza che alcuno si curasse di vedere se avessero oggetti soggetti alla dogana.

Che è avvenuto di quelli che sapevano di dover sbarcare a Quebec, perché sin qui avevano pagato il viaggio? Essi sono sempre riuniti sulla banchina, aspettando che si avverino le promesse che erano state loro fatte. Sono quasi tutti veneti delle province di  Venezia, Treviso, Vicenza ingaggiati dalla “Donnor Immigration Company”. All’arrivo avrebbero dovuto avere in mano un biglietto con la dicitura “Montreal-Quebec”. Apponendosi questo biglietto sul cappello essi sarebbero stati ricevuti da un rappresentante della Compagnia, che li avrebbe tosto occupati. Dopo essere stati lì una buona mezz’ora, bestemmiando, chi un cuor suo, chi ad alta voce, contro l’agenzia alla quale erano stati diretti, e consultandosi sul da farsi, si sono rivolti al vicino ufficio governativo d’emigrazione, dove è stato loro risposto che a Quebec non c’erano lavori, e che volendo trovarne avrebbero dovuto recarsi a Montreal. Che fare? Bisognava decidersi: ed essi hanno deciso coll’andare a prendersi un biglietto per Montreal. Altri due dollari: altro cambio. Ma bisognava rassegnarsi.

Dopo un po’ e capitato in mezzo ad essi un signore, il quale, parlando in italiano, si è presentato come il rappresentante della “Donnor Immigration Company”. Deplorava di essere giunto in ritardo. Ma nello stesso tempo confermava loro quanto avevano già saputo, cioè che in questi paraggi non c’è modo di occuparsi. A Chiasso erano stati male informati. Era necessario recarsi a Montreal, dove la sua Compagnia li avrebbe fatti andare gratuitamente nella Columbia inglese (la distanza tra Quebec City, Quebec e Vancouver, Columbia Britannica è di oltre 5.000 chilometri. ndr), nell’ovest del Canada, impiegandoli come manovali nella costruzione d ferrovie. Ci sarebbero stati trasportati in cinque o sei giorni ed in altrettante notti consecutive. Avrebbero guadagnato giornalmente un dollaro e un quarto o un dollaro e mezzo, lavorando circa dieci ore. Dopo sei mesi, volendo ritornare, sarebbero stati ricondotti a Montreal a tariffa ridotta: altrimenti durante la stagione invernale, sarebbero stati occupati nei boschi a tagliare la legna, col salario diminuito. Se poi avessero voluto ritornare, prima che fossero trascorsi sei mesi,era necessario si pagassero l’intero biglietto, il quale costa qualche cosa come 50 dollari circa. Assicurava però che per vivere non avrebbero speso molto e che quindi sarebbero stati in grado di far dell’economia. I nostri emigranti avrebbero potuto dire a quel signore che con ciò le promesse non erano state mantenute, che erano stati ingannati, salvo a  ringraziarlo per il modo con cui erano stati trattati durante il viaggio; ma forse per una certa loro timidezza, stavano ad ascoltarlo senza protestare, mentre poi allontanandosi protestavano in mille inutili invettive.

Si doveva partire alle 10: sono le 12 e siamo ancora qui. Nell’attesa mi spingo verso. Presso al stazione ferroviaria alcune locomotive manovrano scampanellando continuamente. Qui, come in tutta la provincia di Quebec, la popolazione è per lo più di origine francese: ma tutti parlano benissimo anche l’inglese. Pareva che nel Canada si potesse vivere con pochi centesimi al giorno. Il pane costa quanto in Italia, se non di più. Così quasi tutti i generi di prima necessità. Il signore della “Donnor Immigration Company” deve avere subodorato qualche cosa, perché mi guarda piuttosto in cagnesco, e cerca di sfuggirmi ad ogni domanda. Caro mio, ci vuol pazienza._

 

Corriere della Sera 22-23 maggio 1901.