17 novembre 2009
Italo americani
Chi sono gli italo americani? Sono davvero
italiani con una patina di americanismo spalmata su di loro oppure il
loro status merita un approfondimento più elaborato?
Durante il 42° convegno dell’AIHA (American Italian Historical
Association) tenutosi dal 29 al 31 ottobre 2009 a Baton Rouge,
Louisiana l’atteggiamento di alcuni italiani ha creato un dibattito
alquanto interessante che mi ha portato ad alcune riflessioni.
Gli italiani continuano a considerare gli americani di origine italiana
un blocco solido e ben specifico molto malleabile ed influenzabile,
soprattutto al momento delle elezioni. Costoro sono tutti cattolici e,
quindi, ancor più parte di un gruppo compatto. Li si accusa facilmente
di non ricordare il nome del paese di origine dei nonni, il nome della
nave su cui salparono da Genova e soprattutto di non sapere una parola
di italiano, bestemmie a parte. Il cibo poi, e così via.
E’ giunto il momento di cambiare registro. Gli americani di origine
italiana non sono italiani. Sono i figli e i nipoti degli italiani
emigrati e cresciuti in un altro ambiente, anzi in un altro Paese, dove
essere italiano è stato a lungo un handicap, dove già all’arrivo
dividevano gli italiani del sud da quelli del nord, tanto per creare
altro caos, dove la diversità tanto ispirante oggi, non era un plus ma
un minus minus. Italiani che spesso non osavano parlare della loro
Patria semplicemente perché in quella Patria non avevano avuto la
minima possibilità di migliorare la propria condizione. Miniere,
miniere, fonderie: miniere di carbone, di rame. Anche campi di cotone,
piantagioni di canna da zucchero. I bisnonni, i nonni non parlavano
facilmente della loro vita. Non sapevano scrivere, ma facevano fatica
anche a raccontare. E’ la storia continua dei racconti orali. I primi
emigranti non parlavano. Non volevano niente, soltanto essere lasciati
in pace. Lasciamo perdere la storia dei primi vincenti, Non sono
soltanto loro a fare la storia. Che poi è sempre vicina a quelli che per
essere riconosciuti hanno dovuto lottare duramente. Basta scorrere i
numerosi giornali in italiano per scoprire la lotta fatta per diventare
uomini. Lotta fatta in America non in Italia. La lenta e inesorabile
integrazione ha avuto il suo definitivo giro di boa con la seconda
guerra mondiale. Nella prima molti italiani avevano vestito l’uniforme
americana, altri quella italiana, ma combattevano tutti dalla stessa
parte. La seconda li divise. Fu così che i figli degli italiani si
scoprirono profondamente americani. Si dispersero nei campi di
addestramento di tutti gli Stati Uniti e parteciparono alle operazioni
belliche soprattutto nel sudest asiatico. Da americani. Quando tornarono
in patria non si stabilirono necessariamente nei vecchi quartieri,
sposarono donne americane e l’Italia divenne un faro lontano lontano.
Già durante la guerra parlare italiano divenne tabù, molti negozianti
cambiarono le insegne, alcuni furono anche deportati. Italiano non era
bello.
Tutto questo mentre l’Italia era cresciuta in un modo completamente
diverso e finita a portare avanti una guerra disastrosa con i problemi
del dopoguerra. E’ evidente la diversa crescita di queste generazioni di
italiani e di figli di italiani che, a poco a poco, persero la loro
identità originale per acquisirne altre. La base italiana resta, ma la
trasformazione avvenuta in quella americana è stata più radicale e
occorre tenerne conto quando si fanno i confronti. D’altra parte è
inutile negare che le migrazioni interne italiane hanno contribuito
all’annacquamento dell’identità regionale delle persone coinvolte. Anche
in questo caso è emerso il desiderio di adeguarsi alla società
ospitante. Ad esempio il dialetto veneto è parlato dai nonni, ma non più
dai figli e dai nipoti. Gli stessi che conoscono ben poco del Veneto dei
loro avi. Gli stessi che hanno messo l’accento sul cognome per essere
più trendy: Giàcomel anziché Giacomèl oppure Scòpel anziché Scopel.
Difficile allora pretendere che i bisnipoti dei migranti in America e
in tutto il mondo continuino a parlare con scioltezza e padronanza di
linguaggio sia l’italiano sia il dialetto.
I punti d’incontro sono da ricercare altrove, soprattutto nella radice
comune italica che continua ad unire l’Italia con tutti i discendenti
degli italiani sparsi per il mondo a vario titolo, ma partendo dal
presupposto che mentre la nostra storia si perde nella notte dei tempi,
la loro è cominciata soprattutto ad Ellis Island._ |