7 dicembre 2009
Documenti della storia
dell’emigrazione
La documentazione concernente la storia dell’emigrazione italiana è
quasi introvabile per la scarsa attenzione che troppe persone dedicano a
questo argomento.
Ieri, 6 dicembre 2009, si è ripetuta la medesima scena. Cercando tra le
varie bancarelle del mercatino delle pulci di Corsico, Milano mi sono
imbattuto in diverse fotografie di emigrati italiani nel mondo. Solo
una con un nome, una data e una località: Guayaquil, Ecuador, 1898, da
dove el senor Casero manda saluti agli amici in Italia. Molte altre,
sparse qua e là in mezzo a bellissime fotografie scattate in Italia, non
avevano che il timbro del fotografo. Non inutili, ma chiaramente
utilizzabili per ricerche di carattere generale legate al costume, alle
acconciature o semplicemente alla tecnica fotografica. Ho anche tolto
dal mercato una fotografia che ritrae una famiglia numerosa a Buenos
Aires, che nessuno aveva pensato di acquisire per tutta la giornata.
Molto rappresentativa nonostante la mancanza di dati e riferimenti
precisi.
Poi lo sguardo su una scatola di legno con fotografie tipo Anni
cinquanta. Sembrava senza interesse poi, all’improvviso, l’occhio è
corso su due persone ritratte in uno studio di Esch in Lussemburgo, zona
di miniere e fonderie. Ho chiesto al gestore del banco da dove
provenissero, forse da Bernate Ticino o giù di lì. Impossibile perché
l’emigrazione si era diretta a St. Louis. No, mio caro, non solo St.
Louis, Herrin e Detroit, ma anche Esch, sì proprio Esch. Pronto a
scommettere il furgoncino. Stranamente non mi ha fatto domande, non mi
ha chiesto come lo sapessi così bene. Mi ha però raccontato la storia di
un tale del suo paese che aveva una grande raccolta di fotografie,
lettere e altri documenti. Si era ammalato tre anni fa e il comune lo
aveva preso in carico prendendo in cambio la casa che lui era stato
aveva accuratamente autorizzato a setacciare. Tre anni a vendere a
studiosi, spero, la storia della propria terra, del proprio paese, per
qualche centesimo in più. Anche la lettera che la sorella aveva scritto
al fratello a St. Louis commiserandolo e che si era portato con sé al
ritorno. Scrivendo in qualche modo le aveva detto che in America
mangiava la “pai” ovvero la torta (pie). Tanti sacrifici per finire a
mangiare la “paja” aveva amaramente commentato la sorella. Lettera
finita chissà dove. A dire il vero un po’ di cose le ha date a un museo
locale, ma mi resta il sospetto che la maggior parte sia stata dispersa
al vento.
Altro che reperti romani ritrovati ogniqualvolta si scava per costruire
una casa.
La documentazione è sparita per molte cause. Durante la seconda guerra
mondiale molta corrispondenza è stata distrutta per paura dei tedeschi.
Perché i figli di un mio informatore di Cadrezzate hanno trascurato e,
ovviamente fatto sparire in discariche varie, gli attrezzi che il nonno
minatore aveva portato dal Crowsnest Pass, Alberta senza onorare le
disposizioni paterne al riguardo?
E le lettere che la bisnipote di un emigrato in Argentina dichiara di
aver gettato via il mese prima di conoscermi, sono davvero finite nella
spazzatura? Oppure hanno assunto una nuova dimensione al momento della
mia richiesta?
Certamente quanto resta in Lombardia del grandioso fenomeno della Grande
migrazione è molto poco. Oppure molto è ancora nascosto o ritenuto di
scarso valore. In effetti, soltanto negli ultimi anni sono riemersi i
cimeli legati al Ventennio, tenuti a lungo tatticamente celati per paura
o per pudore.
Pensieri sottili alla ricerca di tracce perdute, dimenticate, ignorate
per tentare di ricostruire una storia che, purtroppo, troppi non hanno
voglia di ricordare._ |