24 novembre 2009
 

Appunti per una storia dell’emigrazione italiana in Argentina
 

Gli italiani si sono finalmente accorti dell’Argentina e di conseguenza della sua popolazione che ha costruito un Paese dal nulla che non è Italia, ma invita allo studio sulla trasformazione delle persone.
Nell’immaginario italiano l’Argentina è un paese vastissimo dove la popolazione è dedita soprattutto all’agricoltura e all’allevamento del bestiame. Le vicende del racconto “Dagli Appennini  alle Ande”  tratte da Cuore e  la cronaca della partenza da Genova e della   traversata via mare descritta in Sull’Oceano da Edmondo De Amicis hanno aggiunto un sapore sentimentale e drammatico all’esperienza migratoria italiana. Emigrazione caratterizzata dal tango del quartiere a prevalenza genovese  della Boca, spesso confinata in un angolo di ricordi  e di occasioni mancate.  Ritratto molto riduttivo e affatto realistico.
In questi ultimi anni a ricordare la Grande migrazione verso l’Argentina, il Brasile e il mondo in generale ci ha pensato l’enorme richiesta di passaporti italiani da parte dei discendenti degli emigrati. Secondo la legge italiana i discendenti maschili in linea diretta hanno diritto alla cittadinanza (dal 1 gennaio 1948 estesa anche alle donne).  L’entità di questo fenomeno legato alla situazione economica in Sudamerica e alla possibilità di poter espatriare senza grosse difficoltà verso gli Stati Uniti e verso la comunità europea, soprattutto la Spagna, e magari anche l’Italia ha contribuito a creare un ingorgo impressionante  presso le autorità consolari preposte all’espletamento delle pratiche cui si è pure aggiunta la possibilità per i cittadini con passaporto italiano di votare all’estero per le elezioni italiane. Tutto questo ha generato molte difficoltà, ma ha comunque contribuito a rivedere la storia dell’emigrazione italiana. L’Argentina è tra i Paesi maggiormente balzati sulle prime pagine dei quotidiani. Un’opportunità per studiare meglio ciò che è accaduto tra Italia e Argentina durante gli ultimi due secoli.
La presenza italiana in Argentina risale alle prime scoperte, ma quando viene dichiarata formalmente l’indipendenza dalla Spagna il 9 luglio 1816, la presenza italiana o meglio di soggetti dei vari stati precedenti l’unità d’Italia è irrilevante. Si tratta per lo più di liguri, quindi cittadini del regno di Sardegna che seguendo la tradizione trovano impiego come marinai e soprattutto nelle attività mercantili. Esattamente come avevano fatto nei vari porti del Mediterraneo e come stavano già facendo nei vari porti marittimi, fluviali e lacuali del Nord America facilmente collegati con i porti di Genova e Livorno.
L’Argentina è un Paese estesissimo con una superficie, che sfiora i 2.800.000 chilometri quadrati, ed equivale a più di sette volte  quella italiana attuale. La popolazione al momento della rivoluzione del 25 maggio 1810 che diede l’avvio all’indipendenza dalla Spagna era di circa 700.000 persone che abitavano prevalentemente in aree urbane. Oggi le stime ufficiali quantificano la popolazione in quaranta milioni di persone con una densità territoriale di poco superiore a quattordici abitanti per chilometro quadrato che continua a prediligere gli agglomerati urbani. L’origine etnica degli argentini è  al 75-80%  europea soprattutto spagnola ed italiana. Italiana che cominciò proprio con i primi marinai liguri ed anche con i gesuiti che furono presenti soprattutto nella provincia di Misiones al confine con il Brasile e il Paraguay dai primi del 1600 fino al 1773. Esiste poi una componente tedesca, francese, inglese, irlandese. Ci sono ancora piccole comunità di nativi e di afro-americani.
Quando i primi gruppi di liguri approdarono in Argentina intorno al 1830, la popolazione era concentrata soprattutto nell’area di Buenos Aires e provincia colonizzata da spagnoli arrivati direttamente dall’Europa, mentre la zona a nordovest era stata popolata da spagnoli provenienti dal Perù (Salta, Santiago dell’Estero) e quella ad ovest  da spagnoli  del Cile (Mendoza, San Luis).
Gli spagnoli, a differenza degli Anglosassoni in Nord America, preferirono lo sviluppo urbano a quello agricolo con il conseguente risultato che le ampie distese del Chaco, della Pampa e della Patagonia furono letteralmente trascurate.
Ai primi liguri impiegati nel settore marittimo si aggiunsero gli esuli delle continue guerre in territorio italiano e persone con diverse esperienze ed aspettative soprattutto dal Piemonte, dalla Lombardia e dalla Campania facilitati ed invogliati dalla vicinanza dei porti da cui partivano le prime navi per il Sudamerica. Il Paese stava nascendo, aveva bisogno di tutto e di tutti. La cultura e le tradizioni spagnole erano simili a quelle italiche e favorivano il processo di acculturazione.
I dati riguardanti la popolazione illustrano le fasi di popolamento dell’Argentina :

1869  1.737.000   di cui 14% stranieri

1895  3.955.000   di cui 34% stranieri

1914  7.885.000   di cui 43% stranieri

Dai giorni dell’indipendenza il Paese aveva aggiunto poco meno di un milione di persone in un cinquantennio. L’immigrazione lo stava adesso nettamente cambiando.
L’insediamento dei liguri più famoso è quello caratteristico della Boca che ne ha contraddistinto la presenza fino ai giorni nostri.  Le attività erano quelle legate al porto, ma la flessibilità degli immigrati temporanei e definitivi permise loro di entrare in tutte le occupazioni della crescente Buenos Aires e del Paese in generale.  In nessun' altra nazione al mondo gli italiani sono riusciti ad affermarsi  come è successo in Argentina al di là di alcune avversioni iniziali e delle varie altalene economiche del Paese che ha visto spesso  anche in tempi recenti sanguinosi antagonismi e lotte intestine, soprattutto nel campo imprenditoriale e delle attività in proprio.
Significativo, ad esempio, il caso di Rosario dove i liguri si affermarono dapprima nel trasporto fluviale e da lì si diramarono in imprese artigianali, industriali e commerciali sostenuti dalle loro forti associazioni.  Il loro successo fu tale che per almeno trent’anni controllarono tutti i settori della vita della città.
La svolta che diede impulso alla grande crescita dell’economia argentina tra il 1880 e il 1914 si ebbe a partire dalla caduta del generale Juan Manuel Rosas il 3 febbraio 1852. Furono introdotte parecchie riforme in campo legale che favorirono gli investimenti soprattutto da parte degli stranieri e dei privati che furono garantite da una maggior intesa politica e dal rinnovato clima di sicurezza. Inoltre la creazione di una rete ferroviaria efficiente, cui contribuirono anche ingegneri italiani quali Giuseppe Telfener, rese più efficienti le comunicazioni e il trasporto dei prodotti agricoli. I capitali stranieri e l’arrivo di nuovi immigrati resero possibile la conversione delle terre solitamente utilizzate per l’allevamento a quello più produttivo di cereali. 
L’Argentina si preparò quindi a ricevere i futuri coloni con leggi ad hoc e con l’istituzione del centro di accoglienza, Hotel des Inmigrantes per facilitare le pratiche all’arrivo e l’indirizzo degli immigrati verso le loro destinazioni finali. Le leggi erano rivolte specialmente alla colonizzazione agricola delle aree da dove erano stati espulsi i nativi, in particolare le province di santa Fe ed Entre Rios, dove arrivarono parecchi immigrati piemontesi.
In questo medesimo periodo l’immigrazione urbana si assestava e si organizzava. I  tanti reduci dalle battaglie per la libertà in Italia, i carbonari, i mazziniani, i garibaldini, furono tra i fondatori delle società di mutuo soccorso  ( associazioni che garantivano l’assistenza in caso di malattia e di morte  non ancora garantite dallo stato) che poi sarebbero diventate circoli  ricreativi, ma anche di altre istituzioni quali ospedali e banche.  I liguri, affiancati soprattutto dai piemontesi  prepararono il terreno che avrebbe facilitato l’inserimento dei futuri immigrati nel Paese.
Il successo ottenuto da liguri soprattutto nel campo armatoriale marittimo li convinse ad entrare nel lucroso trasporto degli emigranti che garantiva diverse attività collaterali nel commercio, nella vendita dei biglietti, nel collocamento delle persone. Tuttavia, i liguri, fedeli alla loro tradizione commerciale non si avventurarono più di tanto nella colonizzazione agricola che nonostante le crisi che afflissero l’Argentina nel 1875 e nel 1890 attrasse un numero sempre più crescente di contadini.
La Grande emigrazione cominciò a partire dal 1870 allorché l’Italia intera fu percorsa dal fremito dell’espatrio indotto o spontaneo che spopolò campagne e paesi. Le destinazioni furono il Brasile, Il Nordamerica a e l’Argentina.  Emigrazione spesso temporanea, addirittura soltanto per raccogliere qualche soldo durante il raccolto (cosecha)per poi tornare ai proprio campi in Italia al cambio della stagione.
L’America che non fu America per tanti, ma che comunque vide l’intraprendenza ed il successo di molti. In agricoltura le cose non andarono benissimo. In Italia la cultura era intensiva, mentre in Argentina le distese erano immense e la conoscenza del suolo da parte degli immigrati italiani alquanto scarsa. Le distanze erano enormi, fatto che vanificava la presenza di una discreta rete ferroviaria. I coloni erano soprattutto del nord, piemontesi e lombardi che non sempre arrivavano con un piano preciso com’erano soliti fare, ad esempio, i tedeschi o gli svizzeri.  Il successo in campo agricolo, vedi ortofrutticoltura nella provincia del Rio Negro oppure vitivinicoltura nella regione di Mendoza  arriverà più tardi.
L’anno 1885 segnala un forte tendenza migratoria che diminuisce in seguito alla crisi economica del 1890 quando una depressione non meno acuta di altre precipitò a causa dell’insolvenza della banca inglese Baring Brothers che fu salvata dall’intervento della Banca d’ Inghilterra che evitò  una depressione ancor più marcata. 
Le forze trainanti dell’economia argentina dalla seconda metà del 19o secolo in poi furono l’introduzione di macchinari agricoli moderni e il suo inserimento nell’economia mondiale. Gli investimenti, soprattutto inglesi, proiettarono l’Argentina nel futuro grazie al nuovo impulso dato alle ferrovie ed ai porti, anche se il dibattito sulla proprietà locale creò parecchio malumore. 
L’economia argentina aumentò fino al 1929  grazie soprattutto alle esportazioni di prodotti agricoli quali carne e cereali, mentre lo sviluppo dell’industriale locale fu danneggiato dall’importazione di manufatti di scarso valore, mentre continuò l’investimento britannico.  Sempre nel 1929  l’Argentina figurava addirittura al 4° posto come prodotto interno lordo. Il crollo di Wall Street, la Grande depressione e il colpo militare del 1930 che destituì Yrigoyen con Uriburu in un clima di lotte politiche e di economia stagnante furono l’inizio del declino.
L’emigrazione italiana continuò costante fino alla prima guerra mondiale pur cambiando  le regioni italiane di provenienza con la punta massima di 107.000 nel 1907. Ci fu un rallentamento in seguito alla Prima guerra mondiale, ma tra il 1920 e il 1930 altri 368.00 italiani arrivarono in Argentina.
L’emigrazione italiana riprese dopo la Seconda guerra mondiale grazie ad accordi tra i due paesi ed altre 400.000 persone varcarono lì’Atlantico. Questa volta la maggior parte degli emigranti veniva dal sud. Il Nord dell’Italia si stava lentamente riprendendo dalle ferite del conflitto mondiale e l’Argentina non offriva più la speranza. Il declino dell’Argentina avviene in concomitanza con la nazionalizzazione di imprese a capitale statunitense ed inglese e con il crollo del prezzo delle derrate alimentari. Ai problemi di natura economia si aggiunsero quelli legati alla politica. Dittature militari e colpi di stato che coinvolsero molti militari ed uomini politici di origine italiana danneggiando grandemente il Paese fino alla infausta dittatura militare del 1976-1983.
Dalla fine degli anni 90 l’Argentina ha assistito ad un’altra crisi economica che ha avuto ripercussioni anche in Italia attraverso i vituperati bond argentini.
Adesso è tempo di riflettere su un’emigrazione che ha costruito un Paese così familiare e per molti versi sconosciuto. Un Paese che adesso ci restituisce i nipoti alla ricerca delle loro radici e di quella sicurezza economica che i loro antenati cercarono in terra argentina.
Un esercizio che deve essere svolto molto meglio dalle istituzioni. L’emigrazione argentina è diversa da tutte le altre perché non si è soltanto inserita, ma ha gettato le fondamenta del Paese. Mentre noi parliamo di italo-americani, italo-canadesi, italo-australiani non usiamo mai il termine italo-argentino.In generale un argentino ha in sé i caratteri dei fondatori della nazione, quindi della cultura spagnola e di quella italiana. Ma non cerchiamo in loro l’italianità a tutti i costo. Forse potremmo usare il termine italici in quanto imbevuti di cultura italiana, a volte senza rendersene conto. Inutile tacciarne alcuni di opportunismo. Per via della possibilità di ottenere il passaporto italiano. E’una furbizia legale concessa ad altri senza troppo scandalo. Mai sentito parlare delle decine di imprenditori italiani che negli anni 70 approfittarono di una legge canadese che offriva loro la cittadinanza in cambio di un investimento di circa 300.000 dollari e qualche posto di lavoro ?  Costoro continuano a trasmettere la cittadinanza a figli e nipoti che magari visitano il Canada una all’anno e in genere non conoscono l’inglese più di quanto gli argentini di discendenza italiana conoscano l’italiano.
In definitiva, le regioni italiane che tra il 1876 e il 1925 hanno mandato più emigranti in Argentina sono le seguenti :

1.         Piemonte     353.000

2.         Calabria     288.000

3.         Sicilia      242.000

4.         Lombardia    223.000

5.         Marche       176.000

6.         Campania     164.000

7.         Triveneto    153.000

 

Le statistiche arrotondate  indicano la provenienza che fino al 1900 è soprattutto dalle regioni dell’Italia Settentrionale.
Sia l’emigrazione dal Triveneto sia quella ligure sono diminuite costantemente anche se la Liguria è un caso a parte, comunque con una percentuale regionale molto alta. Percentuale paragonabile a quella delle Marche che primeggia nell’Italia Centrale. Calabria e Sicilia mantengono livelli molto alti al decrescere progressivo di Puglia e Campania. 

Emigrazione totale verso l’Argentina divisa per regioni e per zone, 1876-1925

Zona    Regione            Numero di emigranti     %

Nord        Piemonte            353.474          16.5

            Lombardia           222.951          10.4

            Tri-Veneto          153.774           7.2

            Liguria              97.930           4.5

            Emilia-Romagna       53.397           2.5

Totale Nord                     881.526          41.1

           

Centro      Marche              176.727           8.2

            Umbria                7.573           0.3

            Lazio                10.613           0.5

            Toscana              61.315           2.9

Totale Centro                   256.228          11.9


Sud         Abruzzo-Molise      136.341           6.3

            Campania            164.301           7.7

            Puglia                3.675           3.0

            Basilicata           91.386           4.3

            Calabria            288.695          13.4

            Sicilia             241.781          11.3

            Sardegna             20.931           1.0

Totale Sud                    1.007.560          47.0
 

Totale  Italiani in Argentina 2.145.320         100.0
 

Totale italiani nel mondo    16.510.300   
    

Gli italiani o discendenti di italiani hanno partecipato attivamente al progresso del Paese e si sono distinti in tutti i settori, molto prima di immigrati in altri Paesi.

Capi di stato argentini con ascendenti italiani.

L’importanza di un gruppo di immigrati è pari al successo raggiunto nel Paese di elezione. Di solito è facile affermarsi nell’industria, nelle arti, nello sport, mentre il riconoscimento a livello politico richiede capacità che un immigrato non possiede. E’tuttavia interessante notare come i figli degli immigrati di prima generazione italiani siano riusciti ad emergere addirittura come capi di stato. Questo a partire dagli albori della nazione argentina. Santiago Derqui, di origine genovese, fu presidente dal 5 febbraio 1860 al 5 novembre 1861. Carlos Enrique Josè Pellegrini Bevans, di sangue lombardo, resse il Paese dal 6 agosto 1890 al 12 ottobre 1892. Ci vollero altre decine d’anni perché gli italiani, molto presenti nell’apparato militare, tornassero a reggere le sorti dell’Argentina.  Il mitico colonnello Juan Domingo Peròn ebbe il potere dal 4 giugno 1946 al 21 settembre 1955, quando fu deposto. Gli furono attribuite radici sarde.
Il generale Eduardo A. Lonardi fu in carica dal 23 settembre 1955 al 13 novembre 1955. Successivamente a partire da Arturo Frondizi eletto il 1 maggio 1958 e deposto il 29 marzo 1962 seguirono diversi presidenti di origine italiana fino al 1970.
Il dott. Josè Marìa Guido fu presidente dal 29 marzo 1962 al 12 ottobre 1963, mentre il dott. Arturo Umberto Illia Francesconi dal 12 ottobre 1963 al 28 giugno 1966. Figlio di emigrati da San Pietro di Samolaco, Sondrio, emigrati nel 1866 a Pergamino, una città a nord di Buenos Aires, dove nacque nel 1900, si laureò in medicina ed entrò in politica nel 1930. Anti-peronista ed eletto soltanto con il 25% dei voti non riuscì a contrastare i problemi creati dai seguaci di Peròn e a fronteggiare i problemi di un’economia in crisi. Cancellò i contratti petroliferi con le compagnie straniere che gli valse sì grande popolarità in funzione del grande nazionalismo argentino, ma che contribuì a distruggere l’autonomia argentina in campo petrolifero. Dopo la vittoria dei peronisti nelle elezioni del 1966 i militari lo deposero  e lo sostituirono con un altro figlio di lombardi, il generale Juan Ongania.
Juan Carlos Ongania era nato nel 1914 a Marcos Paz una cittadina ad una cinquantina di chilometri a sudovest di Buenos Aires. Il padre era originario di Perledo, un incantevole paese che domina il lago di Como, in provincia di Lecco.   Fu presidente dal 29 giugno 1966 all’8 giugno 1970. Dal 1963 al 1965 fu comandante in capo dell’esercito e nel 1962 capeggiò una rivolta che spazzò via l’ala dell’estrema destra. Fu nominato dalla giunta che aveva deposto Illia che era composta da Pascual Angel Pistarini Ludena, Benigno Ignacio Marcelino Varela Bernadou e Adolfo Teodoro Alvarez Melendi. Durante la sua presidenza furono aboliti i partiti, dissolto il congresso ed assunse sia il potere legislativo che esecutivo. Integrò le forze armate nel governo, ma le sue misure autoritarie gli crearono una forte opposizione. La sua posizione fu minata da un’inflazione galoppante e da continue manifestazioni di protesta da parte degli studenti e dei sindacati. Nel giugno del 1970 la giunta militare capitanata da Pedro Alberto Jose Gnavi, di lontane origini piemontesi, lo destituì. Gli successe il generale Roberto Marcelo Levingston. Nel carosello della politica argentina entrò anche Hector Josè Càmpora, di estrazione genovese, che fece da battistrada con Raùl Lastiri al ritorno di Jaun Domingo Peròn che ritornò dall’esilio spagnolo e governò dal 12 ottobre 1973 fino alla sua morte avvenuta il 1 luglio 1974. Gli successe la moglie Isabelita che non riuscì a ripetere la popolarità della prima moglie di Peròn, la popolarissima Evita. Fu in carica dal 1 luglio 1974 al 24 marzo 1976 quando fu deposta da un colpo di stato della giunta militare composta da Jorge Rafael Videla Redondo, Emilio Eduardo Massera Padula, Orlando Ramòn Agosti Equenique. Giunta che nominò presidente il generale Videla che restò in carica da 29 marzo 1976 al 29 marzo 1980 quando gli subentrò Roberto Eduardo Viola che rassegnò le dimissioni il 22 dicembre 1981.  Dal 22 dicembre 1981 al 1 luglio 1982 fu presidente Leopoldo Fortunato Galtieri Castelli cui successe Reynaldo Benito Antonio Bignone Ramyòn. La serie infinita dei presidenti argentini cessa di avere un contenuto italiano, salvo la breve esperienza di Fernando De la Rùa Bruno al potere dal 10 dicembre 1999 al 21 dicembre 2001.
Si passa poi a Menem, alla famiglia Kirchner.
E’ evidente che la presenza degli argentini di origine italiana in politica è stata di rilievo. Si sono citati quasi tutti i presidenti di origine italiana, ma la lista dei ministri è altrettanto lunga, per non parlare poi del numero di persone attive nel mondo sindacale e dei sindaci delle grandi città.
Molti nomi, tanti, per valorizzare ancora di più l’evoluzione degli immigrati italiani in un Paese che li ha accolti prima con sospetto e che poi ha abbracciato le loro idee di progresso. A volte ci sono stati dei problemi e delle differenze, anche drammatiche.
In altri Paesi, dove gli italiani pensano di essere stati protagonisti, come ad esempio gli Stati Uniti, i nomi italiani di rilievo sono quelli del sindaco di New York Fiorello La Guardia e recentemente di Nancy Pelosi D’Alesandro, speaker della Camera. Molti deputati, ma non ancora presidenti. Gli irlandesi ci sono arrivati dopo molto tempo con John Kennedy, gli afroamericani  solo recentemente con Barack Obama. Geraldine Ferraro è stata la prima italoamericana ad essere candidata alla vice-presidenza nel 1984 quando Walter Mondale si candidò alla Casa Bianca e perse la sfida con Ronald Reagan. Ella Tambussi Grasso, di origini piemontesi,  è stata la prima donna ad essere eletta governatore di uno degli  stati federali, il Connecticut,  senza succedere al marito. Dopo l’uscita di scena di Mario Cuomo, non sembrano emergere ancora figure politiche di alto livello.

I lombardi d’Argentina

Le statistiche indicano che tra il 1876 e il 1915 il maggior numero di emigrati lombardi proveniva dalle provincie di Milano, 47.743 e dalla provincia di Pavia, 80.963. Ecco il quadro generale in valori assoluti :

Bergamo               5.434

Brescia              10.026

Como                 34.805

Cremona               7.131

Mantova               6.194

Milano               47.743

Sondrio              15.342

Pavia                80.963

Totale              207.638

           

I dati non combaciano tra di loro per difetto a causa del diverso sistema di computazione. Tuttavia è importante stabilire le province di provenienza, Mantova e Cremona ebbero una maggior emigrazione verso il Brasile. Como comprendeva anche Lecco e la fascia nord della provincia di Milano ora sotto Varese. Pavia e il nord contiguo alla provincia di Milano furono più esposti alla propaganda degli armatori liguri di Genova. 
I lombardi d’Argentina si divisero tra contadini e soprattutto persone che si dedicarono ad attività commerciali. Scorrere le pagine dei giornali argentini ed italiani di fine Ottocento e primo Novecento significa imbattersi continuamente in personalità lombarde che hanno lasciato il segno in tutti campi. Persone che non sempre hanno potuto dimostrare la propria capacità in Italia e che una volta messi di fronte a se stessi hanno prodotto risultati straordinari.
Oltre a ricordare, comunque, chi non ha avuto tempo di raccontare la propria storia, sempre degna di essere trasmessa alle generazioni future, è doveroso segnalare alcune delle personalità di prima e seconda generazione che hanno lasciato un’impronta indelebile legata alla loro origine lombarda.
Pur senza una tradizione marinara, i lombardi furono presenti durante le prime scoperte del Nuovo mondo. Mi piace citare Antonio Pigafetta o meglio Antonio Lombardo  che lasciò un dettagliato resoconto della spedizione attorno al mondo di Fernao de Magalhaes (1519-1522).
Agli avventurieri veri e propri sono da aggiungere i religiosi avventurosi soprattutto gesuiti.  Gli elenchi censuari di questi pionieri danno poche notizie, ma indicano lo stato della colonia spagnola tra il 1700 e il 1800.

Antonio Ripario di Cremona, gesuita che dà notizie sui nativi del Chaco (1639).

Ferdinando Brambilla di Cassano d’Adda, pittore paesaggista al servizio della Spagna che dipinse Buenos Aires durante la spedizione Malaspina attorno al mondo (1789-1794). 

Luigi Genela di Milano, cattolico, sposato. Nel 1804 possedeva 5.000 pesos, 6 schiavi ed una casa. Risiedeva a Buenos Aires.
La tradizione militare che vede spesso gli italiani in prima fila comincia ai primi anni del 1800 quando le alterne vicende belliche costringono molti soldati alla via dell’esilio. La provincia di Buenos Aires esigeva che tutti gli stranieri formassero delle legioni in armi pronte al combattimento. Già nel 1806-07 le legioni italiane combatterono contro gli invasori inglesi. Fu l’inizio delle battaglie che anni più tardi avrebbero coinvolto anche Garibaldi. La legione italiana di Buenos Aires guidata dal colonnello Olivieri, composta da almeno 300 fuorusciti, difese la città di Buenos Aires durante l’assedio del 1852-53. Olivieri, era un carbonaro che partecipò alle cinque Giornate di Milano nel 1848 e alla difesa di Venezia nel 1849. Era un mazziniano convinto. E a Buenos Aires non era solo.

Federico Felonico, nato a Milano nel 1832, partecipò alle Cinque Giornate di Milano ( 18-22 marzo 1848). Fece parte della spedizione di Luciano Manara in Trentino, si arruolò nell’esercito piemontese e fece parte dei Lancieri di Novara combattendo contro gli austriaci. Partecipò alla difesa di Buenos Aires sotto il comando di Olivieri e morì in combattimento il 30 maggio 1853.

Filippo Caronti nacque a Como nel 1813. Studente di ingegneria, partecipò alle lotte contro la dominazione austriaca. Condannato a morte per i fatti del 1848, fuggì in Argentina a Rio de la Plata. Dopo la morte del colonnello Olivieri si trasferì a Bahìa Blanca dove in qualità di commissario di guerra ebbe l’incarico di costruire munizioni per l’artiglieria e riparare armi. Sua la costruzione del primo molo di Bahìa Blanca. Si devono sempre a Caronti le prime scuole miste, la prima chiesa cattolica e il primo cimitero. I suoi studi precorsero la meteorologia argentina. Fondò la biblioteca intitolata a Bernardino Rivadavia, il primo presidente argentino e la Società Italiana di Mutuo Soccorso. Morì nel 1883.
Ovviamente non c’erano soltanto patrioti e carbonari nell’Argentina di primo Ottocento. Il Paese in crescita aveva opportunità per tutti in tutti i campi.

Tommaso Ambrosetti, nato a Morbegno, Sondrio nel 1834 arrivò a Rio de la Plata nel 1863. Fece l’importatore di velluto e pizzi. Fondò il “Circolo Italiano” e la “Camera di Commercio Italiana” di Buenos Aires.

Paolo Mantegazza nacque a Monza nel 1831. Si laureò in medicina a Pavia e si trasferì nel 1854 a Buenos Aires. Oltre a praticare la medicina, viaggiò a lungo per studiare usi e costumi nonché flora, fauna del Paese. Rientrò in Italia nel 1858 e pubblicò le sue osservazioni in un volume dal titolo Sulla America Meridionale e Lettere Mediche. Ritornò in Argentina nel 1861 e vi rimase per altri due anni. Questo viaggio diede origine a Il Rio de la Plata e Tenerife pubblicato nel 1867. Medico igienista, antropologo ed esperto di droghe psicoattive studiate durante i soggiorni in Argentina, morì a San Terenzo, La Spezia, nel 1910.
A questi lombardi rappresentativi occorre aggiungere gli imprenditori che hanno trovato in Argentina la possibilità di espressione non avuta in Italia.

Pietro Vassena (Pedro Vassena) nacque a Sala al Barro, Lecco nel 1846. Giunse a Buenos Aires nel 1859 (alcuni dicono nel 1865) e cominciò a lavorare da semplice fabbro. Dopo aver lavorato per l’officina meccanica di Silvestro Zamboni, un novarese di Domodossola arrivato in Argentina nel 1856 che aveva creato un impero industriale, decise di mettersi in proprio. Impresa non facile, ma evidentemente Vassena aveva dei grandi numeri. In pochi anni avviò quella che sarebbe diventata una delle più importanti aziende metallurgiche argentine suddivisa in tre stabilimenti  : ferreria, torneria meccanica e fonderia. Il primo produceva attrezzi agricoli e materiale da costruzione, il secondo realizzava ad esempio la costruzione di macchine impastatrici oltre che impiantare e riparare macchinari di qualsiasi tipo. Ma il fiore all’occhiello di Vassena era la fonderia di ferro e bronzo che durante la Prima guerra mondiale produceva praticamente tutta la gamma degli articoli in ferro del Paese.  La produzione occupava oltre 5.000 addetti tra dipendenti interni ed esterni e la fabbrica si estendeva su una superficie di oltre 100.000 metri quadri. Le opere compiute dall’azienda di Vassena furono innumerevoli e sono sparse dappertutto. Tra le più significative : il grandioso       Mercado de Abasto ( Mercati Generali) nel quartiere di Almagro di Buenos Aires, l’imponente tettoia del mercato ortofrutticolo di Bahìa Blanca, le condutture del gas della città di Tucumàn, le installazioni per la distilleria Griffer di Villa Elisa e per La Rosario di Rosario,l’armatura del ponte sul Rio de la Valle a Catamarca.
Numerosi furono i riconoscimenti internazionali conferiti all’azienda di Pietro Vassena tra cui quelli dell’Esposizione di Torino del 1898 e di Milano del 1906.
Il rapporto di Vassena con il paese natale fu molto stretto nonostante la lontananza. Tornato dopo oltre quaranta anni in occasione dell’Esposizione di Milano del 1906, Vassena costruì una villa imponente a simboleggiare il riscatto del lontano emigrante che donò alla figlia Clelia andata sposa ad Antonio Ronchetti, un industriale serico della zona. Villa che è stata venduta al comune di Galbiate dall’erede Ernesto Ronchetti per valorizzarne la valenza storico-artistica.
Insignito del cavalierato al lavoro dal governo italiano, Pietro Vassena morì a Buenos Aires nel 1916.

Antonio Rezzonico nacque Como nel 1856. Emigrò a Buenos Aires nel 1869. Fece l’apprendistato nella fabbrica Soldini e cambiando spesso luogo di lavoro riuscì a diventare caporeparto. A questo punto decise di mettersi in proprio concentrandosi su una macchina per la  produzione di catene di filo d’acciaio che gli valse un premio alla fiera di Buenos Aires del 1898-99. Divenne socio di Manuel Pregassano e fondò uno dei più moderni stabilimenti metallurgici dell’Argentina diviso in tre settori: costruzione di macchinari, fonderia e produzione di bulloni, viti e chiodi. Nel 1900 entrò in società con Ottonello e Cia. E nel 1922 si associò al gruppo lussemburghese “Arber Terres Rouges”. Nel 1925 assieme agli eredi  Vassena fondò la Tamet ( Talleres Metalurgicos San Martin).
Questi due grandi industriali tolgono un po’ di spazio ad altri imprenditori, ma l’elenco dei lombardi di valore, soprattutto i self-made men, è davvero infinito.

Federico Rostoni di Vanzaghello, Milano arrivò a Buenos Aires nel 1867 appena undicenne. Lavorò nella fabbrica di cucine economiche di Ennelino Cayol fino a 18 anni allorché si mise in proprio a fabbricare le famosissime cucine Rostoni che furono adottate da scuole, ristoranti, case private ed anche dalle ferrovie che le utilizzarono nei vagoni ristoranti. Ebbero pure un grande successo nelle cucine degli alberghi sia di Buenos Aires sia delle località di Mar del Plata, Necochea e Tandìl.

Giacomo Mezzera nacque a Menaggio, Como. Nel 1873 assunse la direzione della distilleria fondata dal padre nel 1867. Si specializzò nella produzione dell’aceto da tavola che introdusse per primo con successo nel Paese. Fu pure distributore di vino e riuscì ad ottenere dal famoso uomo politico Bartolomeo Mitre l’autorizzazione ad usare il suo nome ed il suo ritratto per una nuova marca di vini.

Eugenio Mattaldi nacque a Milano nel 1834. Arrivò in Argentina nel 1843 con la famiglia. Nel 1867 aprì una delle prime sellerie per la produzione di articoli in cuoio per cavalli e carri che rivaleggiò con altre simili in tutto il mondo. Nel 1884 fondò la Camera di Commercio di Italiana di Buenos Aires. Stabilì la sua residenza a Bella Vista (Buenos Aires) dove avviò pure una distilleria di alcool che battezzò La Rural. Bella Vista gli ha dedicato un quartiere. Morì nel 1918.

Alberto Grimoldi regge le sorti dell’azienda calzaturiera fondata dal suo antenato Tommaso nel 1866 ed ampliata dal figlio Alberto. Tra gli alti e bassi dell’economia mondiale ed argentina che hanno caratterizzato la sua vita, il calzaturificio Grimoldi continua a portare lo stesso nome e soprattutto ad affrontare le sfide dei nuovi mercati restando proprietà della famiglia.

Bonomi. La storia della famiglia Bonomi di Gallarate inizia con l’emigrazione di Giosuè nel 1836  in Uruguay e si estende all’Argentina dove Gerolamo Bonomi approda nel 1886  per  sviluppare  la rete commerciale dell’azienda di famiglia ottenendo un grande successo con la vendita dell’aperitivo Monte Cudine.
Nel 1907 Gerolamo Bonomi lasciò la direzione del suo negozio in via Belgrano 2280 al figlio Alfredo che seguì le orme paterne. Il benessere raggiunto da Gerolamo era dimostrato, tra altre, dalla proprietà della cuadra (isolato di circa 16.900 mq. di superficie) , dove sorgeva il negozio e della villa adibita a residenza estiva della famiglia situata a General Rodriguez.

Tra i prodotti commercializzati da Bonomi  lo champagne Duc de Rovigo, oltre allo zafferano in capsule metalliche che aveva alfine conquistato una scettica Argentina.
I Bonomi investirono la loro capacità imprenditoriale in attività bancarie e finanziarie come il Nuovo Banco Italiano e la compagnia di assicurazioni Columbia. Fecero pure costruire il teatro Marconi, al posto del vecchio teatro Doria, dove dettero spettacolo compagnie di nazionali, di opera e di prosa dandogli un grande carattere di italianità.
Gerolamo Bonomi acquistò pure un’isola sul Paranà Mini dove fece edificare una scuola che donò poi al governo. Nel 1920 sottoscrisse il  6o prestito italiano di guerra con la somma di un milione di lire  e più tardi il prestito littorio. Fu decorato con il titolo di cavaliere del re d’Italia tuttora trasmesso agli eredi maschi.
Gerolamo morì nel 1936.
L’azienda continuò l’attività sotto la direzione di Alfredo Geronimo Bonomi che legò la pubblicità dell’azienda allo sport sponsorizzando  con il marchio Monte Cudine il pilota argentino di origine italiana Manuel Fangio. Monte Cudine ebbe pure una scuderia di cavalli da corsa.
L’attività in Argentina cessò nel 1977.

Enrico Dell’Acqua. Industriale tessile nato a Busto Arsizio, Varese  nel 1851 e morto a Milano nel 1910. Il suo nome e la sua attività sono legati alla sua straordinaria idea di esportare i prodotti tessili di cotone prima nel mercato interno del sud dell’Italia e quindi, dopo averne valutato i rischi, in Sudamerica, prima in Argentina e poi in Brasile e altri Paesi. Nel 1887 partì per uno dei tanti viaggi in Argentina e cominciò ad affrontare le case produttrici straniere riuscendo a diventare fornitore dei grossisti di manufatti tessili, scavalcando lo strapotere delle case importatrici specialmente inglesi, facendo leva direttamente sul consumatore attraverso una rete capillare di rappresentanti che illustravano e promuovevano il prodotto italiano. Il successo di Dell’Acqua alla fine fu notevole. La sua opera di pioniere dell’export italiano fu immortalata da Luigi Einaudi, futuro presidente italiano, nel suo volume Il Principe Mercante.

Francesco Bisighini nacque a Carbonara Po nel 1868 e vi morì nel 1953. Ha lasciato in eredità al suo paese natale la sontuosa villa che costruì al suo ritorno dall’Argentina ai primi del ‘900 con i proventi derivati dalla sua attività di costruttore edile. Mentre si sa poco su come abbia potuto accumulare così tanta fortuna in così poco tempo, ci ha tuttavia lasciato un immenso patrimonio composto dai disegni, planimetrie e fotografie delle opere firmate dalla sua impresa che illustrano la sua genialità e il suo lavoro a Buenos Aires, la città che gli diede la possibilità di dimostrare il suo talento e di affrancarlo dalla povertà iniziale.

Agostino Rocca nacque a Milano nel 1895. Studiò al Collegio militare di Roma prima di entrare nel 1913  all'Accademia militare di Torino. Durante la Prima guerra mondiale si arruolò volontario nei Bombardieri e negli Arditi. Nel 1921 si laureò in ingegneria industriale al Politecnico di Milano. Nel medesimo anno sposò Maria Queirazza. Dal 1923 fino ai primi anni ’30 fu fiduciario della  Banca Commerciale Italiana e della  Sofindit, la finanziaria dell'istituto di credito, intervenendo nel risanamento di numerose aziende tra cui Sip, Mira Lanza, Silurificio italiano, Unes.
Nel 1933 entrò a far parte dell'Iri - Istituto per la ricostruzione industriale- con l’incarico di ispettore del Comitato per la siderurgia bellica speciale, con il compito di razionalizzare le produzioni di Ansaldo, Cogne e Terni. Nel 1934, su incarico del Ministro delle finanze Guido Jung, studiò la situazione delle concessioni per la lavorazione dei petroli.
Nel 1933 divenne amministratore delegato della Dalmine, dove era entrato nel 1923 come ingegnere tirocinante, divenendo poi direttore dei laminatoi e consulente per l'organizzazione interna, gli impianti, i programmi tecnico-industriali e i contatti con l'estero. Nel 1933 divenne consigliere d'amministrazione in rappresentanza del controllante Iri. Due anni dopo divenne vice presidente con funzioni di amministratore delegato. Mantenne la carica fino al 1944.
Nel 1934 fu nominato amministratore delegato della Siacc, la nuova Società nata, su indicazione del Comitato per la siderurgia bellica in seguito allo scorporo dall'Ansaldo delle acciaierie di Cornigliano. Nel 1935 divenne amministratore delegato dell'Ansaldo in rappresentanza dell'Iri. Qui intraprese una riorganizzazione tecnico-produttiva, organizzativa e commerciale. Nel 1944,  lasciò la direzione generale conservando la carica di amministratore delegato fino al 1945.
Dal 1938 fu direttore generale della Finsider, la neonata finanziaria di settore dell'Iri. In questa veste si fece promotore, con Oscar Sinigaglia, del Piano per la siderurgia italiana. Entrò anche a far parte della Corporazione della siderurgia e metallurgia, della Giunta esecutiva della Federazione industriali meccanici e metallurgici, dell'Unione industriali di Genova, della giunta esecutiva di Confindustria. Fra il 1939 e il 1941, in seguito a contrasti interni all'Iri, si dimise dalla direzione generale della Finsider e dai consigli di amministrazione dell'Ilva, della Terni e della Siac.
Nel 1943 rifiutò la tessera del Partito fascista repubblicano e il Ministero dell'industria. Fra la fine del 1943 e il 1944 fu colpito da vari mandati d'arresto: dal delegato regionale del partito fascista di Asti per dichiarazioni contrarie al regime espresse durante una riunione all'Ansaldo; dalle SS di Genova per aver collaborato con l'organizzazione Otto in favore degli inglesi; dal tribunale straordinario di Genova per tradimento della causa e propaganda antifascista. Per queste ultime due accuse fu arrestato e rilasciato. Nel 1944 fu rimosso dalle funzioni di vice presidente e amministratore delegato della Dalmine e abbandonò la carica di direttore generale dell'Ansaldo per non aver aderito al partito fascista repubblicano.
Nell'aprile del 1945 ricevette un mandato d'arresto dal prefetto di Milano per collaborazionismo con il regime. L'istruttoria ne riconobbe l'adesione solo formale e l'attività di opposizione all'occupazione nazista. Lasciò l'Italia alla volta dell'America Latina nel febbraio del 1946, dopo aver fondato, qualche mese prima, la Compagnia Tecnica Internazionale – Techint.
Dal 1946, in Argentina, firmò i primi contratti di forniture di prodotti e macchinari e progetti per impianti industriali per conto della Techint. Fra gli altri, il progetto per la fornitura di tubi (prodotti dalla Dalmine) e il montaggio del gasdotto del Sud, che si snoda dalla Patagonia a Buenos Aires.
Nel 1946 presentò al governo argentino il piano per la realizzazione di uno stabilimento di tubi senza saldatura a Campana, a nord di Buenos Aires. Le trattative ebbero esito positivo agli inizi degli anni Cinquanta e condussero alla nascita, nel 1954, dei laminatoi della Dalmine-Safta e, nel 1962, dell'acciaieria della Siderca. Le due Società si fusero nel 1964, adottando in seguito la denominazione Siderca.
Tra il 1946 e il 1947, in Messico, entrato in contatto con Bruno Pagliai, affermato imprenditore di origine italiana, e con il presidente della repubblica Miguel Alemán, coordinò il progetto di installare a Veracruz una fabbrica di tubi da destinare alla fiorente industria petrolifera nazionale. Nel 1952 nacque la S.A. Tubos de Acero de Messico - Tamsa, di cui Techint è azionista e consulente tecnica.
Nel 1947 costituì  in Argentina la Compañía Tecnica Internacional. Dal 1948, a partire dal Brasile, nacquero altre affiliate Techint in America Latina, Messico, Nord e Centro America, che, dagli anni Cinquanta, realizzano opere e impianti nei settori più vari. Rocca avvia inoltre in Argentina le prime iniziative industriali: la Cometarsa, carpenteria metallica, pali e strutture per l'elettrificazione; la Elina, che progetta, costruisce e realizza linee elettriche; la Losa, produttrice di materiali da costruzione e laterizi, la Acerobeton, che fabbrica travi di cemento precompresso e la Manufactura Argentina de Mercedes, che produce tele, olone e confezioni.
Dalla metà degli anni Cinquanta, in Argentina, lavora al progetto per realizzare a Ensenada, a sud di Buenos Aires, un impianto a ciclo integrale che alimenti i laminatoi per prodotti piani dell'impresa statale Somisa. Il governo si mostra favorevole. Con il concorso della Finsider e di un gruppo nordamericano promuove quindi la nascita della Propulsora Siderurgica; l'impianto è autorizzato nel 1967 e avviato nel 1969, ma, causa l'opposizione del governo alla costruzione dell'altoforno e dell'acciaieria, con una produzione limitata alla laminazione a freddo. Ottenuto l'appoggio governativo nel 1972, un ennesimo colpo di Stato blocca l'iniziativa. Nel 1975, si dimette dal consiglio di amministrazione della Società e dalla carica di presidente onorario. Muore a 83 anni, il 17 febbraio 1978, a Buenos Aires.

Pavesi nella Pampa “Gringa”

I pavesi rappresentarono il gruppo più numeroso degli emigrati lombardi in Argentina. Le pagini ufficiali della storia parlano poco di loro. A Rafaela, nella provincia agricola di Santa Fe, tra i tanti lombardi emergono diversi pavesi.

Felice Giorgi, nato a  Broni era di professione meccanico. Viene citato in merito in merito ad una scissione tra italiani. Su richiesta esplicita del Commendator Faustino Ripamonti, partecipò nel 1927 assieme a Ruggero Moroni e Carlo Vismara alla Commissione Interinale di Unità fra la Società Italiana “Vittorio Emanuele II” e la “Figli d’Italia” sotto la presidenza di Giuseppe Nidasio. Nel 1940 avviò una fabbrica per la produzione di pezzi per l’industria del latte.

Carlo Monaschi nacque a Casatisma. Nel 1906 fondò e divenne Presidente della “Lega Commerciale e Industriale Agricola” che divenne poi “Società Rurale di Rafaela.” Il 24 ottobre 1907 organizzò la prima fiera agricola. Nel 1913 fu questore di polizia  e poi  membro del primo consiglio comunale. Fondò e divenne presidente del “Club Ciclistico Rafaelino”.

Francesco Malvisini di Mede fondò nel 1885 un importante magazzino per lo stoccaggio dei prodotti cerealicoli, commercio che fu il primo a fungere da Banca per gli agricoltori.

A Mede Carlo ed Ercole Remotti sono ricordati per essere i figli di Luigi, capo magazziniere presso il caseificio Mangiarotti. Convinti dal padre ad emigrare in Argentina per fare fortuna, partirono nel 1905. Lavorarono in un caseificio che fallì dopo pochi anni e che decisero di acquistare. Ercole entrò in società con altri italiani, comprò altri caseifici minori e molti appezzamenti di terra. Mentre Carlo si dedicò al suo deposito di formaggio di Buenos Aires, il fratello ercole continuò la sua attività che spaziò in diversi settori e lo portò nel 1930 alla costituzione della propria azienda, la Remotti che continua ad essere leader nel settore caseario nella città di Emilio V. Bunge, a circa 300 chilometri a nordovest di Buenos Aires. L’azienda è gestita dai figli di Ercole, Aldo, Carlos e Nelly e dà lavoro a novanta dipendenti. Il loro marchio più conosciuto è il Melincue. A Mede, Ercole Remotti è ricordato  come il miliardario d’Argentina, uno dei pochi che fece davvero fortuna.

Maria Lanzarotti. Nata nel 1897 è ricordata come mondina e tagliariso stagionale. Grande lavoratrice, intraprendente e piena di vitalità. Dotata di straordinaria bellezza, aveva un portamento da far invidia alle modelle e naturalmente non è passata inosservata ai molti ragazzi del cantone dove abitava. Qualcuno che già l’aveva presa di mira emigrò in Argentina, ma il pensiero per quella splendida ragazza rimasta a Mede lo esasperava al punto da mettere in imbarazzo il postino per le continue lettere d’amore che arrivavano giornalmente. Dopo tante insistenze e tante belle promesse, Maria decise di partire per l’Argentina, augurandosi che tutto fosse vero. Si imbarcò a Genova il 4 marzo 1923 sul vapore Lombardo, dopo quaranta giorni giunse nella città di Rio Grande nella Terra del Fuoco, dove finalmente incontrò il suo spasimante postale che era poi figlio di un conoscente abitante poco distante dalla sua casa natale. Insieme iniziarono una nuova vita, il lavoro dava buoni frutti e come dice la favola : Vissero felici e contenti rimanendo per sempre a Rio Grande. Non sono più tornati in Italia._