19 – 26 novembre 2009
Il mio
viaggio americano
Andare in America costa poco più delle
classiche cento lire, il travaglio della traversata è minimo, ma non è
tutto così semplice come nella pubblicità.
Non si possono confrontare le peripezie affrontate dai migranti durante
i loro spostamenti transatlantici con quelle odierne. La letteratura al
riguardo ha ampiamente documentato le traversie e i disagi sopportati :
si andava a piedi o con i carri fino alla stazione più vicina.
Sistemazione nelle classi superiori, la terza di solito,ma anche allora
la prima era la migliore. Attesa ai moli di Genova o Le Havre. A volte
di giorni. Infine giorni e giorni nella steerage class, quasi mai a
vedere il sole. Poi alla fine New York. Ellis Island. Non era ancora
finita. Code per le varie visite. Non era ancora finita per molti. Dopo
il treno, magari per giorni, per arrivare fuori New York. San Francisco,
Colorado, Wyoming. L’America vera. Molti non se la sentirono di fare la
strada a ritroso.
Adesso i biglietti si acquistano on-line, ma bisogna stare attenti
perché in caso di cambiamento di itinerario o di data all’ultimo minuto,
non si sa a chi rivolgersi per effettuare le variazioni e i rimborsi
sono spesso difficoltosi. Spesso non si possono nemmeno prenotare i
posti a bordo. Inoltre le continue modifiche apportate dalle compagnie
aeree confondono sempre più i viaggiatori. Ad esempio, dal 1 novembre
2009 la maggior parte delle compagnie aeree ha drasticamente
rivoluzionato la franchigia bagagli sulle rotte nordatlantiche : si è
passati dalle classiche due valigie di massimo 32 chili l’una oltre al
bagaglio a mano a una sola valigia per persona oltre al limitato
bagaglio a mano. Facile dire che il collo extra si può comunque portare
a bordo pagando 30 Euro in più. Extra che il passeggero paga sempre di
più. Tasse sul biglietto che superano la tariffa medesima. Parcheggi
aeroportuali dal costo inverosimile che costringono a programmare il
trasporto con amici e parenti.
Dopo l'11 settembre gli americani sono diventati paranoici e gli europei
li hanno seguiti, magari d malavoglia, ma seguiti. Quindi anche se gli
italiani non hanno problemi è sempre opportuno compilare il modulo ESTA
con tutti i dati personali che saranno d’aiuto durante le formalità
doganali. Non costa niente, ma ci sono dei siti tranello che offrono il
servizio a pagamento. Conosciamo i problemi della sanità americana:
meglio evitare problemi e acquistare una polizza assicurativa in Italia
prima di partire. Come pure prenotare tutto il viaggio o almeno una
parte per non trovarsi in mezzo a problemi infiniti. L’albergo della
prima notte. La prenotazione dell’auto, se serve. La patente
internazionale è un plus, ma non strettamente obbligatoria.
Dimenticavo. Mettere sempre un indirizzo all’interno della valigia. A
volte le etichette esterne si strappano.
Partenza all’alba da Malpensa. Le quattro ore ad Amsterdam sembrano
troppe. Raffaella mi conferma le sue perplessità sulla rapidità di
trasferimento. Il volo arriva a Schiphol in orario. Bene. Quanta gente
andrà a Memphis? E chi va a Memphis? Tutto il mondo sembra andare a
Memphis. Cambio di gate. Lunghe scarrozzate da un punto all’altro
dell’aeroporto. Controlli di sicurezza come a Malpensa, scarpe, cinture,
via. Via giacche, via tutto. Dopo i controlli di sicurezza. Naturalmente
con code chilometriche. Andranno tutti a Memphis? No, ma guarda un po’,
a differenza di Malpensa Amsterdam ha voli anche per Seattle, Los
Angeles, San Francisco, New York, Chicago, Atlanta, Boston. Ma allora è
un hub? Infine quando le quattro ore stanno per scadere, me ne avevano
suggerito al massimo due, riusciamo ad arrivare al gate per il controllo
di sicurezza finale. Dieci ore. Non dieci giorni, ma sempre
interminabili. Film inguardabili, sonno lontano, nuvole sul paesaggio
annuvolato. Ma dopo tutti questi anni perché il cibo a bordo peggiora
anziché migliorare? La mia mela e la mia banana portata da casa.
Alcolici a 7 dollari. Acqua fresca. Memphis. Finalmente. Controllo
passaporti quasi veloce ovvero meno di un’ora. E’ il solo arrivo
dall’estero. M ala mia fila è quella di Murphy. Infine controllo
veloce. Impronta digitale del pollice destro e delle quattro dita della
mano destra. Impronta del pollice sinistro e delle quattro dista della
mano sinistra. Via gli occhiali. Foto a labbra chiuse. Finalmente a
Memphis. Oh, ecco i bagagli. Dogana, senza problemi. Ah, ah. Il bagaglio
deve essere messo su un nastro a parte che va al carosello 6B. E noi?
Reindirizzati al controllo di sicurezza, si al controllo di sicurezza
nonostante la nostra destinazione finale sia Memphis, anzi un’altra fila
di Murphy che non finisce mai, con solita vestizione e solite domande a
noi stessi. Poi una camminata lenta in mezzo a corridoi infiniti
luccicanti altoparlanti tutto il mondo che va su e giù. Carosello 6B.
Quasi. Trasporto infinito dal terminal al centro vetture a noleggio.
Giro intorno al perimetro aeroportuale. Il buio è calato da un pezzo,
come non si era previsto. Attesa per la vettura. Nera nella notte di
Memphis. Esci dal parcheggio, al primo semaforo a destra, al secondo a
sinistra, poi ti trovi sulla I44 ed esci alla 261B e vai sulla 61 south.
Rosedale è a 17 miglia. Ho capito. Siamo nel paese delle bussole e delle
miglia. Guardare e moltiplicare per 1609. Il cielo è pieno di stelle.
Benvenuti in Mississippi. Memphis è già alle nostre spalle.
Il viaggio è cominciato.
Il Delta del Mississippi che comincia al maestoso Peabody Hotel di
Memphis, Tennessee ha una forma ellittica e si snoda fino a Natchez,
Mississippi. Terra di cotone, soprattutto.
Il Delta del Mississippi è la regione a forma ellittica che parte dal
Peabody Hotel di Memphis si stende lungo i fiumi Mississippi e Yazoo e
finisce a Catfish Row a Vicksburg, Mississippi. Per antonomasia è la
terra del cotone, anche se recentemente sono state introdotte le
coltivazioni della soia, del riso e del granoturco. Lo si confonde
spesso con il delta del fiume Mississippi che si trova invece quasi 500
chilometri a valle nei dintorni di New Orleans, Louisiana. L’eccezionale
fertilità del Delta, dovuta alle cicliche esondazioni del Mississippi,
ha favorito ai primi dell’800 la produzione di cotone. L’utilizzo della
manodopera afro americana soggetta a schiavitù cambiò radicalmente dopo
la Guerra civile e i piantatori di cotone dovettero fronteggiare un
mutato mercato del lavoro che richiedeva altre braccia. Austin Corbin,
un finanziere di New York fu il primo a impiegare lavoratori italiani
nella sua piantagione di Sunny Side, Arkansas. Fallita in parte questa
esperienza, i piantatori importarono centinaia di marchigiani ed anche
emiliani in Mississippi e Louisiana. Nel 1905 circa trecento persone
della provincia di Mantova, soprattutto di Sermide, furono reclutate per
lavorare il cotone. I loro discendenti sono ancora sparsi lungo il
Delta. La loro vicenda è stata ampiamente descritta dall’autore di
quest’ articolo.
Questa premessa per spiegare alcuni motivi del viaggio che ha per tema
gli italiani in mezzo al cotone, anche lombardi.
E’ stato facile trovare l’albergo Harra’s di Tunica lungo la Old 161
South. Lo stato del Mississippi, forse il più povero di tutti, ha dato
il via libera alle case da gioco, che brillano da lontano e facilitano
il raggiungimento della meta, nuove stelle polari multicolori. Prezzi
modicissimi, colazioni a prezzi assurdi che possono coprire anche pranzo
e cena, merenda inclusa. Non mi piace giocare. Ho fatto un giro in mezzo
alle migliaia di slot macchine già affollate alle sette di mattina, ma
non ho subito l’ansia della manovella perché ormai si fa quasi tutto con
le card e il rumore sincopato tribale amico che ti fa sperare di trovare
le tre ciliegie e il tintinnio delle monetine non esiste. A dire il vero
anche il fiume è lontano. L’albergo in realtà è a Robinsonville, ma
Tunica è la contea. Facile per chi ci vive, ma una volta capito può
andare bene. La cosa che colpisce subito è la vastità e la mancanza di
traffico. Sarà forse sulla 61 South o magari sulla nuova Interstate 55
South. Qui sulla Old 61 South poche macchine. Una breve sosta a
Robinsonville e Bowdre. Qui lavorarono le famiglie Bassi, Avanzi,
Poletti, Mantovani,Guidorzi, Furini, Galvani, Bertolani, ma se ne sono
perse le tracce.
Piove in un paesaggio che a poco a poco diventa meraviglioso. E’ fine
ottobre. Piante di cotone dappertutto. Bagnato e danneggiato dalla
pioggia. Si vede. La fibra è bagnata e molte capsule sono chiuse e penso
proprio che non si schiuderanno. Continua a piovere in questa pianura
deserta dove il bianco sovrasta tutto, dove il ciglio della strada è
tinteggiato di batuffoli. Mi rendo conto che gli agricoltori saranno
neri di rabbia, ma non posso fare a meno di sentire l’emozione per
essere partecipe per un momento della storia legata a queste piante. A
milioni verso Rosedale. Direzione Cohoma County sulla 1 South. Qui nel
1880 il signor Sessions ingaggiò per la prima volta lavoratori
italiani. E’ rimasto soltanto un cimitero con qualche lapide
scheggiata. Molti marchigiani. In giro dappertutto soltanto cotone, per
chilometri. La strada è antica, larga per i nostri standard, ma non
troppo. Località note, citate da Mary Grace Quackenbos nella sua
indagine governativa sullo stato degli italiani nelle piantagioni del
Sud : Lula, Gunnison, Alligator. A parte Tunica, che ha una piazza
ordinata e ben tenuta simile ai common del New England, gli altri
insediamenti sono dilapidati, sembrano delle ghost town, città fantasma
create dalla meccanizzazione agricola che ha decisamente azzerato il
bisogno di braccia. Negozi chiusi, case semi-diroccate, casupole
diroccate. Senso di abbandono. Più in là, lungo la strada, un cimitero
casuale con fiori colorati finti. Tunica con le sue imponenti dimore
neoclassiche dai colonnati bianchi come il dei suoi campi. Nonostante
l’inclemenza del tempo il cotone viene raccolto e portato nei gin dove
la fibra è separata dal seme. La prossima destinazione è Rosedale.
Chiese e chiesette cristiane di battisti afro americani costellano la
strada. Innumerevoli. Con i campanili stretti ed
allungati. First Baptist, Friendship
Missionary Baptist Church, King Solomon Baptist Church, New Jerusalem
Baptist Church, New Hope Baptist, Pocahontas Baptist Church, Mount
Hebron Baptist Church.
Prima di arrivare a Rosedale, soprannominata pomposamente la
città del Delta dell’amore fraterno, mi fermo ad ammirare uno dei tanti
bayou, i rami paludosi tipici del Mississippi che hanno un fascino
speciale dovuto alla vegetazione e al colore dell’acqua derivato dalla
decomposizione della flora circostante, dove vivono i pesci gatto
simbolo della cucina locale.
Continua a piovere. Ecco Rosedale, Mississippi.
Popolazione 2.330. Luoghi di culto : 17
Assemblee di Dio : Assembly of God, Gods
People in Unity Assembly of God.
Chiesa Battista : C A Burke
Missionary Baptist Church, Eastern Star Baptist Church, First Baptist
Church, Mount Hebron Baptist Church, Pleasant Green Baptist Missionary
Church, Riverside United Baptist Church, Trinity Southern Baptist
Church.
Chiesa Cattolica : Sacred Heart Church.
Chesa di Cristo : Rosedale Church of Christ.
Chiesa Metodista : Bethel African Methodist Episcopal Church, Gunnison
United Methodist Church.
Nondenominazionale : Bible Way Assembly Church, Gospel Temple Church,
Lively Stone Church, Mount Hebron Church.
E il cotone, e le chiese? Arriveranno. Pazienza.
Rimando tutto alla prossima puntata. Sto ancora pensando a tutte quelle
chiesette, molte sulla strada principale, aperte soltanto di festa, a
due passi dal fiume e dal cotone.
Rosedale è la località dove ai primi del ‘900 Charles Scott aera
proprietario di diverse piantagioni di cotone. Era pure venuto in Italia
con la commissione degli stati del sud per promuovere l’emigrazione
verso quelle regioni. Alle sue dipendenze un gruppo di sermidesi partiti
nel 1905. Fu più attento di altri alle condizioni di lavoro degli
italiani, ma in generale fu vita dura e basta.
La farmacista della farmacia di frontiera locale, che prepara ancora
medicine in proprio, mi accoglie con curiosità. Ha dei ricordi vaghi, ma
fa una serie di telefonate e dopo i consigli della mamma preferisce
evitare le disquisizioni sui punti cardinali, visto che continua a
piovere e francamente questo benedetto ovest non riesco proprio a capire
da che parte si trovi. Il fiume. E chi l’ha visto? Si butta in macchina
e mi guida fino al cimitero della piantagione Scott dove dovrebbero
esserci degli italiani. Dopo infiniti cambi di direzione, i famosi est
ovest nord est sudovest, proprio di fronte a un bosco, in direzione
fiume Mississippi, si scorgono le tombe semiabbandonate.
Querce gigantesche mai potate che accarezzano con i loro rami ancora
ricoperti di foglie le lapidi sconnesse ingrigite piene di muschio acqua
ormai entrata nelle scarpe fango sabbia ricoperta di erba. Le lapidi
dei lombardi sono allineate separate dalle altre :
Mrs Dorina Zavatta Nov 18 1895 May 24 1916 Gone but not forgotten
Baby of Mrs Dorina Zavatta born May 24 1916 Oct 18 1916
Trattasi probabilmente di Dorina Oltremari sposata Zavatta. Passa
davanti agli occhi il dramma della famiglia, forse la primogenita che
sopravvive alla morte della madre di parto per poi raggiungerla pochi
mesi dopo.
Il silenzio rotto dalle gocce della pioggia incessante nel cielo cupo
che non sa di luce.
Rizieri Pretti nato a Sermide 11 iulio 1874 morto 15 giugno 1917
Maria Pretti nata febbraio 1914 – morta febbraio 1914
Rode Furini 1909-1914.
Semplici croci lapidi spoglie muschio che ormai ha quasi divorato le
incisioni sfregate adesso da mano intrepida alla ricerca dei pionieri
lombardi coltivatori di cotone.
Rizieri Pretti era partito il 21 luglio 1906 da Genova a bordo della
nave “Antonio Lopez” arrivata New York il 10 agosto 1906. Il suo
gruppo familiare era composto da ben 11 persone.
L’erba incolta nasconde le insidie della melma intrisa d’acqua. Ritorno
a Rosedale dove mi aspetta Butch Bassie, Executive Vice President della
First National Bank. L’aspetto richiama ancora i tratti italiani
nonostante la trasformazione ormai secolare. Di fatto la perdita delle
abitudini non ha coinciso con quella di identificazione. Qui nel Delta
gli italiani hanno lottato per essere riconosciuti e non cedono
facilmente all’idea di trasformazione ineluttabile. E’ cambiata la
situazione economica e sono ormai parte del mondo produttivo, in tutti i
settori. Cosa che manca in larghe fasce della comunità afro americana.
Non ci sono quasi più italiani a Rosedale. La concentrazione maggiore
adesso è a Cleveland, dove si svolge pure un Festival annuale per
celebrare la loro presenza. Festival che di italiano spesso hanno
soltanto il nome che secondo gli strateghi del marketing è simbolo di
successo sicuro. Anche Butch abita a Cleveland distante una ventina di
miglia a est, naturalmente. Gli italiani continuano a coltivare il
cotone, ma recentemente hanno inserito anche il riso, oltre alla soia e
al granturco. Mi mostra un libro dell’associazione dei produttori di
riso dove emergono diversi nomi italiani come Fioranelli, Bassi. Non
sembrano avere alcun rapporto con l’Italia. Almeno per adesso.
Il centro di Rosedale è semi abbandonato, come molti altri del Delta,
senza senso. La strada davanti è sempre deserta in quanto il traffico
regolare che da nord va verso sud privilegia, ovviamente, le intestate
che fortunatamente non sono soggette a pedaggio. E la benzina
nonostante il rincaro di cui tutti si lamentano costa mediamente due
dollari e sessantanove centesimi al gallone ovvero un euro e
settantanove centesimi al gallone che tradotto significa circa 45
centesimi di euro al litro. E’ vero che le distanze sono grandi, ma a
noi sembra un bel viaggiare.
Ecco finalmente Greenville, un tempo centro del commercio del cotone,
ora abbastanza decaduta. Non vorrei fermarmi perché mi aspetta il mio
amico Paul Canonici a Madison e la strada è lunga, ma non riesco a
resistere all’idea di passare da Greenville senza fare un salto in
Arkansas e portare così Raffaella a vedere la mitica piantagione di
Sunny Side, quella che fece venire in mente a Austin Corbin l’idea di
portare coloni italiani a coltivare il cotone. Progetto iniziato con
Alessandro Oldrini dell’ufficio del lavoro di Ellis Island, Emanuele
Ruspoli, sindaco di Roma e Saverio Fava, ambasciatore italiano a
Washington. Progetto attuato a partire dal 1895 con l’arrivo dei primi
migranti marchigiani, veneti e emiliani e che diede poi il via alla
migrazione di migliaia di contadini verso le piantagioni lungo il fiume
Mississippi da Memphis fino a Natchez.
Il maestoso metallico lunghissimo ponte che scavalca l’amplississimo
fiume ci viene incontro con armonia e tranquillità proprio nel momento
in cui sta per cedere il passo a un altro più moderno più adatto ai
tempi alle esigenze del futuro. Un ponte quasi terminato. Un ponte che
in Italia.
Appena arrivati in Arkansas si svolta a destra. A destra tra il fiume,
adesso sormontato da enormi argini a ricordare le inondazioni del
passato, storica quella del 1927 e ricordata come da noi quella del Po
del 1951, e il lago quasi circolare Chicot c’è Sunny Side.
Sunny Side, Arkansas è la piantagione di proprietà di Austin Corbin,
dove fu effettuato il primo esperimento di colonizzazione agricola
italiana nei campi di cotone. Era la fine del 1895.
Del villaggio di Sunny Side che a fine ‘800 aveva una popolazione di
oltre mille italiani dediti alla coltivazione del cotone, non esiste più
traccia. Già nel 1898 dopo decine e decine di morti per febbre
perniciosa e malattie varie la colonia si era ridotta a una decina di
famiglie marchigiane. Anche se poi dal 1899 i piantatori di cotone
d’accordo con agenti italiani avevano cominciato a reclutare famiglie di
contadini italiani sempre marchigiane ed emiliane per lavorare in
Mississippi. Pratica che finì poi per coinvolgere i gruppi di mantovani
di cui si è scritto prima.
E’ sempre emozionante arrivare a Sunny Side. Vastità del territorio.
Lago Chicot lontano. Argini altissimi per evitare le sfuriate del
Mississippi. Bayou coloratissimi. Nessuno da nessuna parte. Il raccolto
del cotone ormai devastato dalle piogge continue. Ci fermiamo a
ricordare gli anni dell’attività, ma si fa fatica. Intorno sempre i
bayou con i cipressi appena appena bruniti dalla base larghissima che si
affusolano verso il cielo grigiastro. Una lapide al cimitero di Hyner
ricorda gli ardimentosi arrivati nel Delta. Una lapide senza lacrime a
testimoniare la presenza e la morte di persone fatte arrivare fin laggiù
per cause poco legate al desiderio di libertà o del sogno americano. Ma
che American Dream… tratta delle braccia.
A Hyner c’ero già stato nel 1995 durante la celebrazione del centenario
dell’arrivo dei primi migranti. Cerco la strada per entrare al cimitero
e naturalmente mi sembra di intravedere una scorciatoia. In realtà mi
sembra di uscire dalla zona conosciuta e soprattutto asfaltata.
Raffaella mi fa notare che sotto le ruote non c’è terra, ma sabbia dura
e adesso molto scivolosa. La macchina comincia a slittare. Tento di
trovare uno slargo per ritornare indietro, ma sono costretto ad
avanzare. Melma sui due lati del sentiero. Panico. Anzi immersione delle
ruote nella melma e inutili tentativi di uscirne. Freddo causato dal
vento. Pioggerellina battente. Telefono fuori uso. Fire ants formiche di
fuoco 21 punture sulle caviglie. Inzaccherati. Devo camminare e andare a
cercare aiuto. Non so dove. La strada per Lake Village sarà a circa 6-7
chilometri. Mi avvio verso il cimitero di Hyner. Nessuno per strada.
Raffaella ad aspettare nel fango e in mezzo alle formiche. Siamo verso
l’imbrunire. Cammino, corro, guardo, scruto e non vedo nessuno. Dopo
una mezz’oretta arrivo a un gruppo di casupole vicino a un’area
attrezzata per la raccolta del cotone. Sembra tutto chiuso. Finalmente
m’imbatto in un gruppo di contadini che non sembrano stupiti nel
vedermi. Probabilmente la gente s’impantana sempre. Ansioso cerco di
essere chiaro nella mia ricerca di aiuto. Forse non mi capiscono bene.
Viste le caratteristiche somatiche, mi metto a parlare in spagnolo
spiegando per sommi capi l’accaduto. Allora la barriera scompare. Juan,
il più anziano, raduna altri quattro compagni, tutti sul retro del pick-
up e via. Ci perdiamo tra un bayou e l’altro, ma alla fine i cinque
messicani manifestamente illegali da quindici dieci otto nove anni ci
tolgono dalla melma. Via veloce. Foto ricordo da non mandare
all’Immigration Office. La sera cala presto con il sole rosso che
svanisce in fretta mentre attraversiamo nuovamente il ponte sul fiume in
direzione Madison. La macchina completamente ricoperta di fanghiglia. Ci
aspetta father Paul. Paul Canonici.
Non riesce a credere ai suoi occhi. Neanche noi. Paul Canonici è figlio
di emigrati marchigiani. Il suo libro “Delta Italians” ha riscosso un
grande interesse per le testimonianze sui discendenti degli italiani nel
Delta. Lavoro che altrove non è stato fatto. Ormai l’anello di
congiunzione tra gli emigrati, i loro figli e i discendenti si sta
spezzando. Un patrimonio si sta lentamente perdendo e rischia di sparire
senza traccia. Anch’io mi sento parte di questo progetto missionario e
per questo abbiamo molt4 cose da dirci e raccontarci. Paul Canonici è
venuto spesso in Italia, dove ha riscoperto e riaffermato le sue radici.
E’ pure pittore. Un suo libro recente “So Italian” (Così italiano)
raggruppa ricette tradizionali da lui raccolte corredate da impressioni
di viaggio e da suoi schizzi colorati. Davvero piacevoli. Come tutto è
piacevole di lui. Mia l’astio e il rancore. E’ passato tutto. I suoi
dipinti sono sereni. Tra poco allestirà una sua personale a Leland. Casa
tranquilla molto americana. Accogliente. Libri, quadri, fiori, disegni,
ricordi di viaggio, cucina grande con le stoviglie a cadere, vino,
spezie, Italia.
Domani a Vicksburg. Sempre sul Mississippi. Incontriamo Joe Gerache
(Geraci). Farmacista. Famiglia di farmacisti perché il nonno era già
farmacista nel 1911. Siciliano di Palermo. Il nipote Joe gestisce le
farmacie di famiglia che vendono anche medicine, ma sono in realtà
strapiene di reperti della Guerra civile americana. La sua specialità
sono le bottigliette delle medicine, ma vi si trova di tutto. Un
cannone, proprio un cannone, all’ingresso, con fucili, baionette, palle
da cannone, palle da cannone scoppiate, foderi, cappelli, uniformi,
libri, mappe, bottigliette, contenitori di terracotta, munizioni. Tutto
alla rinfusa e a tratti ordinato. Le bottigliette sono color cobalto.
Spesso sono infilate in rami d’albero seguendo la tradizione vodoo. La
funzione delle bottigliette colorate è simile a quella dei dream
catchers indiani. Joe ne regala una rossa a Raffaella. Scarse perché per
ottenere quella tonalità si usava l’oro.
Joe Gerache mi porta all’angolo di Veto e Washington Street, dove ai
primi del Novecento Adelmo Tirelli da Carbonara Po gestiva un banco di
frutta e verdura assieme alla moglie di fronte all’ufficio di agente di
immigrazione dove conduceva i suoi affari. Importazione di manodopera
per le piantagioni di cotone. Emozione. Più in là il primo negozio dove
fu fabbricata la Coca Cola. Storie. Joe ci invita a casa a pranzo.
Memorabilia dappertutto.
Ogniqualvolta si incontra un personaggio il mondo cambia aspetto e il
tempo è veloce. Si vorrebbe vivere dappertutto e stare con tutti. Strade
larghe con traffico normale. So che a Milano rimpiangerò le deserte
lunghe autostrade senza nessuno dietro ad ansimare sul retrovisore.
Lavare l’auto di Sunny Side non è stato facile e così ho dovuto rifare
il lavaggio. Sabbia dappertutto. Non è stato facile lasciare Paul. Tanti
discorsi comuni, tanti interessi uguali, tanta conoscenza comune, tanta
voglia di fare delle cose assieme, sapendo che soltanto alcune potranno
essere realizzate in comune.
Le foglie dell’autunno sono spiaccicate per strada. Paul ci saluta dal
suo albero delle bottiglie piantato verso il viale che ci porta
all’autostrada verso sud, verso il sud di Baton Rouge, Louisiana._ |