19 – 26 novembre 2009
 

Il mio viaggio americano
 

Andare in America costa poco più delle classiche cento lire, il travaglio della traversata è minimo, ma  non è tutto così semplice come nella pubblicità.
Non si possono confrontare le peripezie affrontate dai migranti durante i loro spostamenti transatlantici con quelle odierne. La letteratura al riguardo ha ampiamente documentato le traversie e i disagi sopportati : si andava a piedi o con i carri fino alla stazione più vicina. Sistemazione nelle classi superiori, la terza di solito,ma anche allora la prima era la migliore. Attesa ai moli di Genova o Le Havre. A volte di giorni. Infine giorni e giorni nella steerage class, quasi mai a vedere il sole. Poi alla fine New York. Ellis Island. Non era ancora finita. Code per le varie visite. Non era ancora finita per molti. Dopo il treno, magari per giorni, per arrivare fuori New York. San Francisco, Colorado, Wyoming. L’America vera. Molti non se la sentirono di fare la strada a ritroso.
Adesso i biglietti si acquistano on-line, ma bisogna stare attenti perché in caso di cambiamento di itinerario o di data all’ultimo minuto, non si sa a chi rivolgersi per effettuare le variazioni e i rimborsi sono spesso difficoltosi. Spesso non si possono nemmeno prenotare i posti a bordo. Inoltre le continue modifiche apportate dalle compagnie aeree confondono sempre più i viaggiatori. Ad esempio, dal 1 novembre 2009 la maggior parte delle compagnie aeree ha drasticamente rivoluzionato la franchigia bagagli sulle rotte nordatlantiche : si è passati dalle classiche due valigie  di massimo 32 chili l’una oltre al bagaglio a mano a una sola valigia per persona oltre al limitato bagaglio a mano. Facile dire che il collo extra si può comunque portare a bordo pagando 30 Euro in più. Extra che il passeggero paga sempre di più. Tasse sul biglietto che superano la tariffa medesima. Parcheggi aeroportuali dal costo inverosimile  che costringono a programmare il trasporto con amici e parenti.
Dopo l'11 settembre gli americani sono diventati paranoici e gli europei li hanno seguiti, magari d malavoglia, ma seguiti. Quindi anche se gli italiani non hanno problemi è sempre opportuno compilare il modulo ESTA con tutti i dati personali che saranno d’aiuto durante le formalità doganali. Non costa niente, ma ci sono dei siti tranello che offrono il servizio a pagamento. Conosciamo i problemi della sanità americana: meglio evitare problemi e acquistare una polizza assicurativa in Italia prima di partire. Come pure prenotare tutto il viaggio o almeno una parte per non trovarsi in mezzo a problemi infiniti. L’albergo della prima notte. La prenotazione dell’auto, se serve. La patente internazionale è un plus, ma  non strettamente obbligatoria.
Dimenticavo. Mettere sempre un indirizzo all’interno della valigia. A volte le etichette esterne  si strappano.
Partenza all’alba da Malpensa. Le quattro ore ad Amsterdam sembrano troppe. Raffaella mi conferma le sue perplessità sulla rapidità di trasferimento. Il volo arriva a Schiphol in orario. Bene. Quanta gente andrà a Memphis? E chi va a Memphis?  Tutto il mondo sembra andare a Memphis. Cambio di gate. Lunghe scarrozzate da un punto all’altro dell’aeroporto. Controlli di sicurezza come a Malpensa, scarpe, cinture, via. Via giacche, via tutto. Dopo i controlli di sicurezza. Naturalmente con code chilometriche. Andranno tutti a Memphis? No, ma guarda un po’, a differenza di Malpensa Amsterdam ha voli anche per Seattle, Los Angeles, San Francisco, New York, Chicago, Atlanta, Boston. Ma allora è un hub? Infine quando le quattro ore stanno per scadere, me ne avevano suggerito al massimo due, riusciamo ad arrivare al gate per il controllo di sicurezza finale. Dieci ore. Non dieci giorni, ma sempre interminabili. Film inguardabili, sonno lontano, nuvole sul paesaggio annuvolato. Ma dopo tutti questi anni perché il cibo a bordo peggiora anziché migliorare? La mia mela e la mia banana portata da casa. Alcolici a 7 dollari. Acqua fresca. Memphis. Finalmente. Controllo passaporti quasi veloce ovvero meno di un’ora. E’ il solo arrivo dall’estero. M ala mia fila è quella di Murphy. Infine controllo veloce.  Impronta digitale del pollice destro e delle quattro dita della mano destra. Impronta del pollice sinistro e delle quattro dista della mano sinistra. Via gli occhiali. Foto a labbra chiuse. Finalmente a Memphis. Oh, ecco i bagagli. Dogana, senza problemi. Ah, ah. Il bagaglio deve essere messo su un nastro a parte che va al carosello 6B. E noi? Reindirizzati al controllo di sicurezza, si al controllo di sicurezza nonostante la nostra destinazione finale sia Memphis, anzi un’altra fila di Murphy che non finisce mai, con solita vestizione e solite domande a noi stessi. Poi una camminata lenta in mezzo a corridoi infiniti luccicanti altoparlanti tutto il mondo che va su e giù. Carosello 6B. Quasi. Trasporto infinito dal terminal al centro vetture a noleggio. Giro intorno al perimetro aeroportuale. Il buio è calato da un pezzo, come non si era previsto. Attesa per la vettura. Nera nella notte di Memphis. Esci dal parcheggio, al primo semaforo a destra, al secondo a sinistra, poi ti trovi sulla I44 ed esci alla 261B e vai sulla 61 south. Rosedale è a 17 miglia. Ho capito. Siamo nel paese delle bussole e delle miglia. Guardare e moltiplicare per 1609. Il cielo è pieno di stelle. Benvenuti in Mississippi. Memphis è già alle nostre spalle.

Il viaggio è cominciato.
Il Delta del Mississippi che comincia al maestoso  Peabody Hotel di Memphis, Tennessee  ha una forma ellittica e si snoda fino a Natchez, Mississippi. Terra di cotone, soprattutto.
Il Delta del Mississippi è la regione a forma ellittica che parte dal Peabody Hotel di Memphis si stende lungo i fiumi Mississippi e Yazoo e finisce a Catfish Row a Vicksburg, Mississippi. Per antonomasia è la terra del cotone, anche se  recentemente sono state  introdotte le coltivazioni della soia, del riso e del granoturco.  Lo si confonde spesso con il delta del fiume Mississippi che si trova invece quasi 500 chilometri a valle nei dintorni di New Orleans, Louisiana. L’eccezionale fertilità del Delta, dovuta alle cicliche esondazioni del Mississippi, ha favorito ai primi dell’800 la produzione di cotone. L’utilizzo della manodopera afro americana soggetta a schiavitù cambiò radicalmente dopo la Guerra civile e i piantatori di cotone dovettero fronteggiare un mutato mercato del lavoro che richiedeva altre braccia. Austin Corbin, un finanziere di New York fu il primo a impiegare lavoratori italiani nella sua piantagione di Sunny Side, Arkansas. Fallita in parte questa esperienza, i piantatori importarono centinaia di marchigiani ed anche emiliani in Mississippi e Louisiana. Nel 1905 circa trecento persone della provincia di Mantova, soprattutto di Sermide, furono reclutate per lavorare il cotone. I loro discendenti sono ancora sparsi lungo il Delta. La loro vicenda è stata ampiamente descritta dall’autore di quest’ articolo.
Questa premessa per spiegare alcuni motivi del viaggio che ha per tema gli italiani in mezzo al cotone, anche lombardi.
E’ stato facile trovare l’albergo Harra’s di Tunica lungo la Old 161 South. Lo stato del Mississippi, forse il più povero di tutti, ha dato il via libera alle case da gioco, che brillano da lontano e facilitano il raggiungimento della meta, nuove stelle polari multicolori. Prezzi modicissimi, colazioni a prezzi assurdi che possono coprire anche pranzo e cena, merenda inclusa. Non mi piace giocare. Ho fatto un giro in mezzo alle migliaia di slot macchine già affollate alle sette di mattina, ma non ho subito l’ansia della manovella perché ormai si fa quasi tutto con le card e il rumore sincopato tribale amico che ti fa sperare di trovare le tre ciliegie e il tintinnio delle monetine non esiste. A dire il vero anche il fiume è lontano. L’albergo in realtà è a Robinsonville, ma Tunica è la contea. Facile per chi ci vive, ma una volta capito può andare bene.  La cosa che colpisce subito è la vastità e la mancanza di traffico. Sarà forse sulla 61 South o magari sulla nuova Interstate 55 South. Qui sulla Old 61 South poche macchine. Una breve sosta a Robinsonville e Bowdre. Qui lavorarono le famiglie Bassi, Avanzi, Poletti, Mantovani,Guidorzi, Furini, Galvani, Bertolani, ma se ne sono perse le tracce.
Piove in un paesaggio che a poco a poco diventa meraviglioso. E’ fine ottobre. Piante di cotone dappertutto. Bagnato e danneggiato dalla pioggia. Si vede. La fibra è bagnata e molte capsule sono chiuse e penso proprio che non si schiuderanno. Continua  a piovere in questa pianura deserta dove il bianco sovrasta tutto, dove il ciglio della strada è tinteggiato di batuffoli.  Mi rendo conto che gli agricoltori saranno neri di rabbia, ma non posso fare a meno di sentire l’emozione per essere partecipe per un momento della storia legata a queste piante. A milioni verso Rosedale. Direzione Cohoma County sulla 1 South. Qui nel 1880  il signor Sessions ingaggiò per la prima volta lavoratori italiani. E’ rimasto soltanto un cimitero  con qualche lapide scheggiata. Molti marchigiani. In giro dappertutto soltanto cotone,  per chilometri. La strada è antica, larga per i nostri standard, ma non troppo. Località note, citate da Mary Grace Quackenbos nella sua indagine governativa sullo stato degli italiani nelle piantagioni del Sud : Lula, Gunnison, Alligator. A parte Tunica, che ha una piazza ordinata e ben tenuta simile ai common del New England,  gli altri insediamenti  sono dilapidati, sembrano delle ghost town, città fantasma create dalla meccanizzazione agricola che ha decisamente azzerato il bisogno di braccia. Negozi chiusi, case semi-diroccate, casupole diroccate. Senso di abbandono. Più in là, lungo la strada, un cimitero casuale con fiori colorati finti. Tunica con le sue imponenti dimore neoclassiche  dai colonnati bianchi come il dei suoi campi. Nonostante l’inclemenza del tempo il cotone viene raccolto e portato nei gin dove la fibra è separata dal seme. La prossima destinazione è Rosedale. Chiese e chiesette cristiane di battisti afro americani costellano la strada. Innumerevoli. Con i campanili stretti ed allungati. First Baptist, Friendship Missionary Baptist Church, King Solomon Baptist Church, New Jerusalem Baptist Church, New Hope Baptist, Pocahontas Baptist Church, Mount Hebron Baptist Church.
Prima di arrivare a Rosedale, soprannominata pomposamente la città del Delta dell’amore fraterno,  mi fermo ad ammirare uno dei tanti bayou, i rami paludosi tipici del Mississippi che hanno un fascino speciale dovuto alla vegetazione e al colore dell’acqua derivato dalla decomposizione della flora circostante, dove vivono i pesci gatto simbolo della cucina locale.
Continua  a piovere. Ecco Rosedale, Mississippi.  Popolazione 2.330. Luoghi di culto : 17
Assemblee di Dio  : Assembly of God, Gods People in Unity Assembly of God.

Chiesa Battista :  C A Burke Missionary Baptist Church, Eastern Star Baptist Church, First Baptist Church, Mount Hebron Baptist Church, Pleasant Green Baptist Missionary Church, Riverside United Baptist Church, Trinity Southern Baptist Church.
Chiesa Cattolica : Sacred Heart Church.
Chesa di Cristo : Rosedale Church of Christ.
Chiesa Metodista : Bethel African Methodist Episcopal Church, Gunnison United Methodist Church.
Nondenominazionale  :   Bible Way Assembly Church, Gospel Temple Church, Lively Stone Church, Mount Hebron Church.
E il cotone, e le chiese?  Arriveranno. Pazienza.
Rimando tutto alla prossima puntata. Sto ancora pensando a tutte quelle chiesette, molte sulla strada principale, aperte soltanto di festa, a due passi dal fiume e dal cotone.
Rosedale è la località dove ai primi del ‘900 Charles Scott aera proprietario di diverse piantagioni di cotone. Era pure venuto in Italia con la commissione degli stati del sud per promuovere l’emigrazione verso quelle regioni. Alle sue dipendenze un gruppo di sermidesi partiti nel 1905. Fu più attento di altri alle condizioni di lavoro degli italiani, ma in generale fu vita dura e basta.
La farmacista della farmacia di frontiera locale, che prepara ancora medicine in proprio, mi accoglie con curiosità. Ha dei ricordi vaghi, ma fa una serie di telefonate e dopo i consigli della mamma preferisce evitare le disquisizioni sui punti cardinali, visto che continua a piovere e francamente questo benedetto ovest non riesco proprio a capire da che parte si trovi. Il fiume. E chi l’ha visto?  Si butta in macchina e mi guida fino al cimitero della piantagione Scott dove dovrebbero esserci degli italiani. Dopo infiniti cambi di direzione, i famosi est ovest nord est sudovest,  proprio di fronte a un bosco,  in direzione fiume Mississippi, si scorgono le tombe semiabbandonate.
Querce gigantesche mai potate che accarezzano con i loro rami ancora ricoperti di foglie le lapidi sconnesse ingrigite piene di muschio acqua ormai entrata nelle scarpe fango  sabbia ricoperta di erba. Le lapidi dei lombardi sono allineate separate dalle altre :
Mrs Dorina Zavatta Nov 18 1895   May 24 1916  Gone but not forgotten
Baby of Mrs Dorina Zavatta  born May 24 1916  Oct 18 1916
Trattasi probabilmente di Dorina Oltremari sposata Zavatta. Passa davanti agli occhi il dramma della famiglia, forse la primogenita che sopravvive alla morte della madre di parto per poi raggiungerla pochi mesi dopo.
Il silenzio rotto dalle gocce della pioggia incessante nel cielo cupo che non sa di luce.
Rizieri Pretti nato a Sermide 11 iulio 1874 morto 15 giugno 1917
Maria Pretti nata febbraio 1914 – morta febbraio 1914
Rode Furini 1909-1914.
Semplici croci lapidi spoglie muschio che ormai ha quasi divorato  le incisioni sfregate adesso da mano intrepida alla ricerca dei pionieri lombardi coltivatori di cotone.
Rizieri Pretti era partito il 21 luglio 1906 da Genova a bordo della nave “Antonio Lopez” arrivata  New York il 10 agosto 1906.  Il suo gruppo familiare era composto da ben 11 persone.
L’erba incolta nasconde le insidie della melma intrisa d’acqua. Ritorno a Rosedale dove mi aspetta Butch Bassie, Executive Vice President della First National Bank.  L’aspetto richiama ancora i tratti italiani nonostante la trasformazione ormai secolare. Di fatto la perdita delle abitudini non ha coinciso con quella di identificazione. Qui nel Delta gli italiani hanno lottato per essere riconosciuti e non cedono facilmente all’idea di trasformazione ineluttabile. E’ cambiata la situazione economica e sono ormai parte del mondo produttivo, in tutti i settori. Cosa che manca in larghe fasce della comunità afro americana. Non ci sono quasi più italiani a Rosedale. La concentrazione maggiore adesso è a Cleveland, dove si svolge pure un Festival annuale per celebrare la loro presenza. Festival che di italiano spesso hanno soltanto il nome che secondo gli strateghi del marketing  è simbolo di successo sicuro. Anche Butch abita a Cleveland distante una ventina di miglia a est, naturalmente. Gli italiani continuano a coltivare il cotone, ma recentemente hanno inserito anche il riso, oltre alla soia e al granturco.  Mi mostra un libro dell’associazione dei produttori di riso dove emergono diversi nomi italiani come Fioranelli, Bassi. Non sembrano avere alcun rapporto con l’Italia. Almeno per adesso.
Il centro di Rosedale è semi abbandonato, come molti altri del Delta, senza senso. La strada davanti è sempre deserta in quanto il traffico regolare che da nord va verso sud privilegia, ovviamente, le intestate che fortunatamente non sono soggette a pedaggio. E la benzina nonostante  il rincaro di cui tutti si lamentano costa mediamente due dollari e sessantanove centesimi al gallone ovvero  un euro e settantanove centesimi al gallone che tradotto significa circa 45 centesimi di euro al litro. E’ vero che le distanze sono grandi, ma a noi sembra un bel viaggiare.
Ecco finalmente Greenville, un tempo centro del commercio del cotone, ora abbastanza decaduta. Non vorrei fermarmi perché mi aspetta il mio amico Paul Canonici a Madison e la strada è lunga, ma non riesco a resistere all’idea di passare da Greenville senza fare un salto in Arkansas e portare così Raffaella a vedere la mitica piantagione di Sunny Side, quella che fece venire in mente a Austin Corbin l’idea di portare coloni italiani a coltivare il cotone. Progetto iniziato con Alessandro Oldrini dell’ufficio del lavoro di Ellis Island, Emanuele Ruspoli, sindaco di Roma e Saverio Fava, ambasciatore italiano a Washington.  Progetto attuato a partire dal 1895 con l’arrivo dei primi migranti marchigiani, veneti e emiliani e che diede poi il via alla migrazione di migliaia di contadini verso le piantagioni lungo il fiume Mississippi da Memphis fino a Natchez.
Il maestoso metallico lunghissimo ponte che scavalca l’amplississimo fiume  ci viene incontro con armonia e tranquillità proprio nel momento in cui sta per cedere il passo a un altro più moderno più adatto ai tempi alle esigenze del futuro.  Un ponte quasi terminato. Un ponte che in Italia.
Appena arrivati in Arkansas si svolta a destra. A  destra tra il fiume, adesso sormontato da enormi argini a ricordare le inondazioni del passato, storica quella del 1927 e ricordata come da noi quella del Po del 1951, e il lago quasi circolare Chicot  c’è Sunny Side.
Sunny Side, Arkansas è la piantagione di proprietà di Austin Corbin, dove fu effettuato il primo esperimento di colonizzazione agricola italiana nei campi di cotone. Era la fine del 1895.
Del villaggio di Sunny Side che a fine ‘800 aveva una popolazione di oltre mille italiani dediti alla coltivazione del cotone, non esiste più traccia. Già nel 1898 dopo decine e decine di morti per  febbre perniciosa e malattie varie la colonia si era ridotta a una decina di famiglie marchigiane. Anche se poi dal 1899 i piantatori di cotone d’accordo con agenti italiani avevano cominciato a reclutare famiglie di contadini italiani sempre marchigiane ed emiliane per lavorare in Mississippi. Pratica che finì poi per coinvolgere i gruppi di mantovani di cui si è scritto prima.
E’ sempre emozionante arrivare a Sunny Side. Vastità del territorio. Lago Chicot lontano. Argini altissimi per evitare le sfuriate del Mississippi. Bayou coloratissimi. Nessuno da nessuna parte. Il raccolto del cotone ormai devastato dalle piogge continue. Ci fermiamo a ricordare gli anni dell’attività, ma si fa fatica. Intorno sempre i bayou con i cipressi appena appena bruniti dalla base larghissima che si affusolano verso il cielo grigiastro. Una lapide al cimitero di Hyner ricorda gli ardimentosi arrivati nel Delta. Una lapide senza lacrime a testimoniare la presenza e la morte di persone fatte arrivare fin laggiù per cause poco legate al desiderio di libertà o del sogno americano. Ma che American Dream… tratta delle braccia.
A Hyner c’ero già stato nel 1995 durante la celebrazione del centenario dell’arrivo dei primi migranti. Cerco la strada per entrare al cimitero e naturalmente mi sembra di intravedere una scorciatoia. In realtà mi sembra di uscire dalla zona conosciuta e soprattutto asfaltata. Raffaella mi fa notare che sotto le ruote non c’è terra, ma sabbia dura e adesso molto scivolosa. La macchina comincia a slittare. Tento di trovare uno slargo per ritornare indietro, ma sono costretto ad avanzare. Melma sui due lati del sentiero. Panico. Anzi immersione delle ruote nella melma e inutili tentativi di uscirne. Freddo causato dal vento. Pioggerellina battente. Telefono fuori uso. Fire ants formiche di fuoco 21 punture sulle caviglie. Inzaccherati. Devo camminare e andare a cercare aiuto. Non so dove. La strada per Lake Village sarà a circa 6-7 chilometri. Mi avvio verso il cimitero di Hyner. Nessuno per strada. Raffaella ad aspettare nel fango e in mezzo alle formiche. Siamo verso l’imbrunire. Cammino, corro, guardo, scruto e non vedo nessuno.  Dopo una mezz’oretta arrivo a un gruppo di casupole vicino a un’area attrezzata per la raccolta del cotone. Sembra tutto chiuso. Finalmente m’imbatto in un gruppo di contadini che non sembrano stupiti nel vedermi. Probabilmente la gente s’impantana sempre. Ansioso cerco di essere chiaro nella mia ricerca di aiuto. Forse non mi capiscono bene. Viste le caratteristiche somatiche, mi metto a parlare in spagnolo spiegando per sommi capi l’accaduto. Allora la barriera scompare. Juan, il più anziano, raduna altri quattro compagni, tutti sul retro del pick- up e via. Ci perdiamo tra un bayou e l’altro, ma alla fine i cinque messicani manifestamente illegali da quindici dieci otto nove anni ci tolgono dalla melma. Via veloce. Foto ricordo da non mandare all’Immigration Office. La sera cala presto con il sole rosso che svanisce in fretta mentre attraversiamo nuovamente il ponte sul fiume in direzione Madison. La macchina completamente ricoperta di fanghiglia. Ci aspetta father Paul. Paul Canonici.
Non riesce a credere ai suoi occhi. Neanche noi. Paul Canonici è figlio di emigrati marchigiani. Il suo libro “Delta Italians” ha riscosso un grande interesse per le testimonianze sui discendenti degli italiani nel Delta.  Lavoro che altrove non è stato fatto. Ormai l’anello di congiunzione tra gli emigrati, i loro figli e i discendenti si sta spezzando. Un patrimonio si sta lentamente perdendo e rischia di sparire senza traccia.  Anch’io mi sento parte di questo progetto missionario e per questo abbiamo molt4 cose da dirci e raccontarci. Paul Canonici è venuto spesso in Italia, dove ha riscoperto e riaffermato le sue radici. E’ pure pittore. Un suo libro recente “So Italian” (Così italiano) raggruppa ricette tradizionali da lui raccolte corredate da impressioni di viaggio e da suoi schizzi colorati. Davvero piacevoli. Come tutto è piacevole di lui. Mia l’astio e il rancore. E’ passato tutto. I suoi dipinti sono sereni. Tra poco allestirà una sua personale a Leland. Casa tranquilla molto americana. Accogliente. Libri, quadri, fiori, disegni, ricordi di viaggio, cucina grande con le stoviglie a cadere, vino, spezie, Italia.
Domani a Vicksburg. Sempre sul Mississippi. Incontriamo Joe Gerache (Geraci). Farmacista. Famiglia di farmacisti perché il nonno era già farmacista nel 1911. Siciliano di Palermo. Il nipote Joe gestisce le farmacie di famiglia che vendono anche medicine, ma sono in realtà strapiene di reperti della Guerra civile americana. La sua specialità sono le bottigliette delle medicine, ma vi si trova di tutto. Un cannone, proprio un cannone, all’ingresso, con fucili, baionette, palle da cannone, palle da cannone scoppiate, foderi, cappelli, uniformi, libri, mappe, bottigliette, contenitori di terracotta, munizioni. Tutto alla rinfusa e a tratti ordinato. Le bottigliette sono color cobalto. Spesso sono infilate in rami d’albero seguendo la tradizione vodoo. La funzione delle bottigliette colorate è simile a quella dei dream catchers indiani. Joe ne regala una rossa a Raffaella. Scarse perché per ottenere quella tonalità si usava l’oro.
Joe Gerache mi porta all’angolo di Veto e Washington Street, dove ai primi del Novecento Adelmo Tirelli da Carbonara Po gestiva un banco di frutta e verdura assieme alla moglie di fronte all’ufficio di agente di immigrazione dove conduceva i suoi affari. Importazione di manodopera per le piantagioni di cotone. Emozione. Più in là il primo negozio dove fu fabbricata la Coca Cola. Storie. Joe ci invita a casa a pranzo. Memorabilia dappertutto.
Ogniqualvolta si incontra un personaggio il mondo cambia aspetto e il tempo è veloce. Si vorrebbe vivere dappertutto e stare con tutti. Strade larghe con traffico normale. So che a Milano rimpiangerò le deserte lunghe autostrade senza nessuno dietro ad ansimare sul retrovisore. Lavare l’auto di Sunny Side non è stato facile e così ho dovuto rifare il lavaggio. Sabbia dappertutto. Non è stato facile lasciare Paul. Tanti discorsi comuni, tanti interessi uguali, tanta conoscenza comune, tanta voglia di fare delle cose assieme, sapendo che soltanto alcune potranno essere realizzate in comune.
Le foglie dell’autunno sono spiaccicate per strada. Paul ci saluta dal suo albero delle bottiglie piantato verso il viale che ci porta all’autostrada verso sud, verso il sud di Baton Rouge, Louisiana._