4 luglio 2008
 

Aloha Oe

 

I lettori italiani conoscono lo scrittore americano Jack London (1876-1916) soprattutto per i suoi supposti libri di avventure, come Il Richiamo della Foresta o Zanna Bianca. In realtà Jack London mise spesso la firma in calce a decine di romanzi e di racconti con evidenti tratti sociali, come Il Tallone di Ferro. Nel suggerire la rilettura dei suoi volumi, tradotti ampiamente anche in italiano, propongo un racconto breve dal titolo esotico: Aloha Oe. L’ho ritrovato frugando tra le mie carte e l’ho studiato con occhi diversi. Alla luce di quanto succede oggi nel mondo, assume un contorno diverso e molto significativo :

Barak Obama, il candidato presidenziale democratico americano è nato alle isole Hawaii, figlio di un immigrato dal Kenia e di una cittadina bianca americana.

Durante le mie ricerche sulla comunità lombarda di Crockett nella baia di San Francisco è emerso il loro inserimento lavorativo alla C&H, che altri non era che la California and Hawaii Sugar Company, che raffinava lo zucchero proveniente dalle isole del Pacifico. E come non ricordare Celso Caesar Moreno, l’eccentrico piemontese di Dogliani, ampiamente studiato da Rudi Vecoli, ministro degli affari esteri del regno dal 14 al 20 agosto e le sue polemiche contro i latifondisti stranieri presenti sul territorio, proprio nel periodo in cui le Hawaii erano nel mirino di Giappone e Stati Uniti, e non solo.

Anche l’edizione odierna del Corriere della Sera ha un inserto sul razzismo.

Storia infinita.

Non ci sono partenze simili a quelle dal molo di Honolulu. La grande nave da trasporto era all’ancora con il vapore a tutta, pronta a salpare. Un migliaio di persone stavano sul ponte ; cinquemila si trovavano sulla banchina. Su e giù lungo il passavanti si incrociavano principi e principesse nativi, magnati dello zucchero e alti funzionari del Territorio delle Hawaii. Di là, in lunghe file, tenute in ordine dalla polizia locale, c’erano le carrozze e le automobili dell’aristocrazia di Honolulu. Sulla banchina la Banda Reale Hawaiiana suonava Aloha Oe, e quando finì, un’orchestra d’archi composta da musicisti nativi  a bordo della nave, riprese lo stesso ritmo sincopato, mentre la voce di una cantante nativa, si elevava come il canto di un uccello sopra gli strumenti a corda e il baccano della partenza. Era un timbro argentino, che risuonava la sua nota  chiara e inconfondibile nel grande diapason dell’addio.

Verso prua, sul ponte inferiore, il parapetto era affollato di giovanotti in divisa kaki , con i volti bronzei che testimoniavano i tre anni di campagna sotto il sole. Ma l’addio non era per loro. Né per il capitano in abito bianco sulla passerella più alta, lontano come fosse tra le stelle, che scrutava il frastuono sotto di lui. L’addio non era neppure per i giovani ufficiali più lontano verso poppa, di ritorno dalle Filippine, né per le donne dal volto bianco rovinato dal clima che stavano al loro fianco.  Proprio all’estremità del passavanti, sul ponte di passeggio, sostava una ventina di senatori degli Stati Uniti con mogli e figlie – la comitiva senatoriale che era stata rimpinzata di pranzi, vino e statistiche e trascinata su per le colline vulcaniche e giù per le vallette di lava per ammirare le glorie e le risorse delle Hawaii. La nave da trasporto aveva attraccato a Honolulu proprio per questa comitiva ed era proprio ad essa che Honolulu dava l’addio.

I senatori erano ornati e inghirlandati di fiori. Il collo tozzo e il petto ampio del senatore Jeremy Sambrooke erano carichi di una dozzina di ghirlande. E da quella massa di fiori emergevano  la testa e la maggior parte del volto abbronzato da poco e sudato. Considerava i fiori come oggetti detestabili e guardava la folla sulla banchina con occhio statistico che non ne vedeva la bellezza ma il lavoro, le fabbriche, le ferrovie e le piantagioni che stavano dietro la moltitudine e che nella moltitudine si esprimevano. Vedeva risorse e immaginava lo sviluppo ed era troppo distratto dai suoi sogni di imprese materiali e di potere per notare la figlia al suo fianco che conversava con un giovane in un elegante abito estivo e cappello di paglia, i cui occhi ardenti sembravano soltanto per lei e non ne abbandonavano il viso. Se il senatore Jeremy avesse avuto occhi per la figlia, avrebbe notato che al posto della ragazzina di quindici anni che aveva portato alle Hawaii appena un mese prima, ripartiva adesso con una donna.

Il clima delle Hawaii matura rapidamente e Dorothy Sambrooke ne era stata esposta in circostanze che ne avevano favorito la maturazione in modo eccezionale. Pallida, sottile, col gli occhi blu un po’ stanchi per avere meditato sulle pagine dei libri, nel tentativo di capire qualcosa della vita : così era un mese prima. Ma adesso i suoi occhi erano caldi anziché stanchi, le guance erano dorate dai raggi del sole, e le prime linee di rotondità cominciavano ad apparire sul suo corpo. Durante quel mese aveva lasciato in pace i libri perché aveva trovato maggior piacere nel leggere il libro della vita. Era andata a cavallo, si inerpicata sui vulcani e aveva imparato il surf. I tropici le erano entrati nel sangue ed era radiosa di calore, colore e sole. E per un mese era stata in compagnia di un uomo, Stephen Knight, un atletico surfista, un dio bronzeo del mare che affrontava le onde rompenti, balzava sul loro dorso e le cavalcava verso al spiaggia.

Dorothy Sambrooke ignorava il cambiamento. La sua coscienza era ancora quella di una ragazzina  ed era sorpresa e turbata dal comportamento di Steve in quell’ora dell’addio. Lo aveva considerato come  un compagno di giochi e per un mese era stato il suo compongano di giochi; ma ora non si separava da lei come un compagno di giochi. Parlava in modo agitato, sconnesso con accessi improvvisi di silenzio. A volte non sentiva ciò che gli stava dicendo o, se la sentiva, non rispondeva a tono. Era turbata dal suo modo di guardarla. Non si era mai accorta della luminosità dei suoi occhi. Avevano qualcosa di terrificante. Non era in grado di sostenerne lo sguardo e i suoi occhi si abbassavano in continuazione.  Tuttavia avevano qualcosa di affascinante e lei continuava a cercare di sfuggita quel non so che di luminoso, imperativo, struggente che non aveva mai visto in occhio umano. E lei stessa era stranamente disorientata ed eccitata.

La sirena della nave lanciò un sibilo assordante e la moltitudine coronata di fiori si affollò verso il parapetto. Dorothy Sambrooke si portò le dita alle orecchie  e mentre faceva una smorfia di disgusto per il suono lacerante, notò di nuovo la luminosità imperativa e struggente negli occhi di Steve. Non  guardava lei, male sue orecchie delicatamente rosse e trasparenti sotto i raggi obliqui del sole pomeridiano. Curiosa ed affascinata, fissò quel non so che nei suoi occhi finchè si accorse di essere stato sorpreso. Il colorito delle guance divenne più scuro e lo sentì pronunciare parole sconnesse. Era imbarazzato e anche lei si rese conto dell’imbarazzo. Gli steward giravano nervosamente pregando gli estranei di scendere dalla nave. Steve tese la mano. Quando sentì la stretta di quelle dita  che avevano preso le sue migliaia di volte sulle tavole da surf e sui pendii di lava, le  parole della canzone singhiozzate nella gola argentina della cantante hawaiana assunsero un nuovo significato :

 

Ka halia ko aloha kai niki mai,

Ke hone ae nei i ku ‘u manata,

O oe no ka ‘u aloha

A loko e hana nei.

 

Steve le aveva insegnato l’aria, le parole ed il significato : così almeno aveva creduto fino a quell’istante ; e in quell’istante dell’ultima stretta di dita e del caldo contatto della palme, indovinò per la prima volta il vero significato della canzone. Si accorse a malapena della sua partenza e non lo notò nemmeno sull’affollato passavanti perché era immersa nel labirinto dei propri ricordi a rivivere le quattro settimane appena trascorse e rileggere gli avvenimenti alla luce della rivelazione.

Quando la comitiva senatoriale era sbarcata, Steve aveva fatto parte del comitato di accoglienza. Era stato proprio lui a dare la prima dimostrazione di surf  sulla spiaggia di Wailiki, allontanandosi verso il mare aperto, vogando sul una tavola stretta, fino a diventare un punto indistinto  per poi ricomparire all’improvviso, emergendo come un dio del mare dal turbinio dal turbinio di schiuma bianca : emergendo velocemente sempre più in alto, spalle e petto, fianchi e membra,  fino a rimanere in piedi, in equilibrio sulla cresta fumante di un’onda possente, un maroso lungo oltre un , chilometro e mezzo, con i piedi sepolti nella schiuma volante, lanciato verso la spiaggia alla velocità di un treno diretto, per poi uscire lentamente dall’acqua, ai loro piedi sbalorditi.

Questa era stata la sua prima visione di Steve. Era il più giovane del comitato, un ragazzo di vent’anni. Non si era esibito tenendo discorsi o mostrando decorazioni ai ricevimenti, ma aveva fatto la sua parte sui cavalloni di Waikiki, alla guida del bestiame selvaggio a Mauna Kea e nel recinto della doma dei cavalli del ranch Haleakala.

La ragazza non si era curata delle interminabili statistiche e degli eterni discorsi degli altri componenti del comitato. Né tantomeno se n’era curato Steve. Ed era appunto fuggita con Steve dalla festa all’aperto di Hamakua e da Abe Louisson, il piantatore di caffé, che aveva parlato di caffé, caffé, nient’altro che di caffé per due ore mortali. Fu in quell’occasione, mentre cavalcavano tra le felci giganti , che Steve le aveva insegnato le parole di Aloha Oe, la canzone che veniva cantata ai senatori in ogni villaggio, ranch o piantagione al momento della partenza.

Steve e lei erano stati molto assieme dal principio. Era stato il suo compagno di giochi. Lei se ne era impossessata mentre il padre era occupato a impossessarsi delle statistiche riguardanti il territorio dell’isola. Era troppo gentile per tiranneggiare il suo compagno, eppure l’aveva completamente dominato tranne quando andavano in canoa, a cavallo  o sulla tavola da surf, occasioni in cui il giovane aveva preso il comando e lei aveva ubbidito. Ed ora, con quell’ultima ripetizione della canzone, mentre le gomene venivano ritirate e il grande piroscafo indietreggiava lentamente dalla banchina, Dorothy comprese che Steve era per lei qualcosa più d’un compagno di giochi.

Cinquemila voci cantavano Aloha Oe : Il mio amore sarà con te, finchè non ti rivedrò, e in quel primo istante della rivelazione d’amore amore comprese che lei e Steve venivano divisi. Quando si sarebbero rivisti? Le aveva insegnato lui stesso quelle parole. Ricordò di averlo ascoltato mentre le cantava sotto l’albero di hau a Waikiki. Era stata una profezia? Aveva ammirato il suo modo di cantare, gli aveva detto che cantava con tanta espressione. Rise forte, nervosamente, al ricordo. Con tanta espressione, quando aveva nella voce aveva messo tutto il suo cuore piangente. Adesso sapeva, ed era troppo tardi. Perché non aveva parlato?  Poi si rese conto che le ragazzine della sua età non si sposavano. Ma il suo pensiero istantaneo fu che le ragazze della sua età alle – alle Hawaii – si sposavano. Hawaii l’avevano maturata : Hawaii dove le carni sono dorate e tutte le donne sono mature e baciate dal sole.

Scrutò invano la moltitudine che si affollava sulla banchina. Che cosa gli era successo? Sentì che avrebbe pagato qualsiasi prezzo pur di vederlo ancora un istante e si augurò quasi che qualche malattia mortale colpisse il capitano solitario sul ponte in modo da ritardare la partenza. Per la prima volta nella sua vita guardò il padre con occhio critico e mentre lo faceva noto con rinnovato spavento le linee di volontà e determinazione del suo volto. Sarebbe stato terribile opporsi a lui. E che probabilità di vittoria avrebbe avuto in una lotta simile? Ma perchè Steve non aveva parlato? Adesso era troppo tardi. Perché non aveva parlato sotto l’albero di hau a Waikiki?

E poi, con una grande stretta al cuore si accorse del perché? Che cosa aveva sentito quel giorno? Oh, sì, era stato al tè della signora Stanton, quel pomeriggio, quando le signore della Gente Missionaria avevano dato un ricevimento in onore delle signore della comitiva senatoriale. Era stata la signora Hodgkins, quella alta e bionda a porre la domanda. La scena le riapparve in maniera nitida  - l’ampio lanai, i fiori tropicali, i silenziosi domestici asiatici, il ronzio delle voci femminili e la domanda che la signora Hodgkins aveva posto al gruppo vicino al suo. La signora Hodgkins abitava da anni sul continente  e chiedeva notizie delle vecchie amiche dell’isola dei suoi anni giovanili. La domanda era stata :”Che ne è stato di Susie Maydwell?” . “Oh, Non l’abbiamo più vista; ha sposato Willie Kupele,” fu la risposta di un’altra signora dell’isola. E la moglie de senatore Berhend si mise a ridere e volle sapere perché il matrimonio aveva influito sulle amicizie di Susie Maydwell.

Hapa-haole fu la risposta, un mezzo sangue, sapete, e noi dell’isola dobbiamo pensare ai nostri figli.”.

Dorothy si girò verso il padre, decisa a metterlo alla prova.

 - Papà, se Steve facesse un viaggio negli Stati Uniti, potrebbe venire  trovarci qualche volta”?

- Steve, chi?”

- Sì, Stephen Knight: lo conosci. L’hai salutato on più di cinque minuti fa. Potrebbe venire a trovarci nel caso capitasse negli Stati Uniti?

- Certamente no – rispose brevemente Jeremy Sambrooke. – Stephen Knight è un hapa haole, e tu sai che cosa significa.

-Oh!- disse debolmente Dorothy, mentre avvertiva una muta disperazione invaderle il cuore.

Steve non era un hapa haole – lo sapeva , ma non sapeva che gli scorreva un quarto di sole dei tropici nelle vene e non ignorava che questo era sufficiente per metterlo fuori concorso, nel matrimonio. Era un mondo strano. C’era l’onorevole A.S. Cleghorn, che aveva sposato una scura principessa di sangue Kamehameha ; eppure gli uomini si ritenevano onorati di conoscerlo, e le donne  più intransigenti  dell’ultra-esclusivo Gente Missionaria si facevano vedere ai suoi tè pomeridiani. E c’era Steve. Nessuno aveva disapprovato che le insegnasse a cavalcare la tavola di surf, né che la conducesse per mano attraverso i punti pericolosi del vulcano Kilauea. Poteva pranzare con lei e con suo padre, ballare con lei, e far parte del comitato di accoglienza; ma per il fatto di avere del sangue tropicale nelle vene, non poteva sposarla.

E non lo faceva notare. Bisognava sentirlo da altri per saperlo. Ed era così attraente. L’immagine del giovane si delineò ad un tratto nella sua visione più intima, e prima di accorgersene si ritrovò a compiacersi nella memoria della grazia del suo magnifico corpo, delle splendide spalle, della sua forza fisica che la sollevava dolcemente sul cavallo, la trasportava al sicuro attraverso i cavalloni tonanti, o la rimorchiavano all’estremità di un alpenstock  su per le irte creste di lava della casa del Sole. C’era qualcosa di più sottile e misterioso che lei ricordava, e cominciava appena adesso a comprendere : il fluido della creatura di sesso maschile che è uomo, interamente uomo, con le qualità più virili dell’uomo. Tornò in sé con un sussulto di vergogna per i pensieri che aveva avuto. Le guance si erano tinte di sangue caldo che si ritirò rapidamente e impallidirono al pensiero  che non l’avrebbe mai più rivisto. La prua della nave era già nella corrente, e il ponte di mezzo passava davanti all’estremità della banchina.

-Ecco Steve – disse il padre. – Salutalo, Dorothy.

Steve guardava all’insù verso di lei con  occhi ardenti e vide nel suo volto ciò che non aveva visto prima. La gioia che gli balenò sul viso le fece capire che il giovane sapeva. Le note della canzone vibravano nell’aria :

 

Il mio amore sarà con te.

Il mio amore sarà con te finché ti rivedrò.

 

Non occorrevano parole per raccontare la loro storia.

Intorno a lei, i passeggeri gettavano le ghirlande che avevano al collo agli amici sulla banchina. Steve sollevò le mani con occhi supplichevoli. Lei sfilò la sua ghirlanda sopra la testa che rimase impigliata nel filo di perle orientali che Mervin, un vecchio re dello zucchero, le aveva passato attorno al collo, quando aveva accompagnato lei e il padre alla nave.

Lottò con le perle che s’erano impigliate nei fiori. Il piroscafo continuava a muoversi. Steve si trovava già sotto di lei : era il momento. L’istante successivo sarebbe stato troppo tardi. Dorothy singhiozzò, e Jeremy Sambrooke le gettò uno sguardo interrogativo.

- Dorothy! – disse con asprezza.

La ragazza strappò volutamente la collana, ed in mezzo ad una pioggia di perle, i fiori caddero sull’innamorato in attesa. Lei lo scrutò finché le lacrime non l’accecarono, e allora nascose il viso sulla spalla di Jeremy Sambrooke, che dimenticò le amate statistiche meravigliato nel vedere che le bambine continuavano a crescere. La folla continuava a cantare, la canzone moriva in lontananza, ma continuando a mescolarsi con il sensuale amore-languore delle Hawaii e le parole che le mordevano il  cuore come un acido a causa della loro falsità.

 

Aloha oe, Aloha oe, e ke onaona no ika lipo,

Un abbraccio appassionato, ahoi ae au, finché non ti rivedrò._

 

Aloha  Oe di Jack London - Traduzione a cura di Ernesto R Milani