L'emigrazione lombarda nel Nord America
Un’intervista ad ampio raggio con Ernesto R
Milani, storico e studioso dell’emigrazione dalla Lombardia
verso gli Stati Uniti e il Canada: dal Missouri al Vermont,
dall’Illinois all’Ontario, mantenendo vive le radici lombarde.
Qual è la tua formazione nell’ambito della ricerca storica
sull’immigrazione lombarda negli Stati Uniti?
Ho
scritto la mia tesi di laurea sulle società di mutuo soccorso italiane
negli Stati Uniti, in particolare un lavoro di ricerca su
un’associazione lombarda a Boston, la Subalpina Mutual Society. Poi ho
cominciato a raccogliere libri, cartoline e altro materiale sul tema.
Il primo lavoro importante che ho svolto è stato riguardante
l’emigrazione italiana (in particolare, marchigiana e veneta nelle
piantagioni del sud del Mississippi). Da quella data in avanti, ho
svolto molti lavori di ricerca sul tema. Inoltre frequento dal 1976
l’AIA, Associazione Italo-Americana e ho contatti con gli storici che
compongono quest’importante associazione.
Come è la mappa dei lombardi negli Stati Uniti?
I
lombardi che sono arrivato negli Stati Uniti negli anni dell’emigrazione
di massa erano soprattutto minatori e manovali. Le principali
destinazioni verso cui si è concentrata questa emigrazione sono St Louis
nel Missouri, Herrin e Rockford nell’Illinois, Barre nel Vermont, Iron
Mountain nel Michigan, Walla Walla nello stato di Washington e poi nel
Texas, a San Francisco (in particolare nella zona di San Rafael), nel
New Mexico e in Arizona. In Canada, invece, si è concentrata
nell’Ontario, nelle miniere di carbone al confine tra l’Alberta a la
British Coloumbia e lungo la ferrovia che collegava Montreal a Victoria.
L’emigrazione di più forte è stata dal 1880 al 1920. Solo per citare un
esempio che dà la misura dell’importanza del fenomeno, da Cuggiono sono
partite verso il porto di New York circa 1700 persone in un’epoca in cui
questo paese aveva circa 4000 persone. In Canada, l’emigrazione è stata
forte anche nel dopoguerra, soprattutto dalla provincia di Brescia e di
Bergamo.
Come è organizzato l’associazionismo lombardo negli Stati Uniti?
Esiste una certa organizzazione, ma è inferiore che altrove. La mia
esperienza mi dice che le associazioni più organizzate sono quelle di
St. Louis e di Herrin, dove la presenza di minatori lombardi era molto
forte. St. Louis era effettivamente una piccola Italia, e spesso
l’associazionismo nasceva per creare Istituti di Mutuo Soccorso, quindi
per esempio al fine di condividere un medico in comune.
In
che forma si mantiene l’identità lombarda all’interno di queste
comunità?
La
tradizione lombarda in qualche forma si è mantenuta: per esempio a St.
Louis c’è una chiesa decicata a Sant’Ambrogio (St. Ambrose). I valori
lombardi sono anche i valori della famiglia che si conservano. Spesso
rimane una certa conoscenza del dialetto, magari rimane nei soprannomi
che si mettono le persone. Inoltre, oggi questi lombardi rientrano
sovente in Italia, nella loro regione d’origine, e questo aiuta a
rafforzare, rinsaldare i legami. Tutto questo è ancora più vero se
consideriamo che oggi il recupero della lombardità o dell’italianità non
è più un fatto negativo ma fa parte della loro vita. In Canada il
mantenimento dell’identità è più relativo, dal momento che numericamente
i lombardi sono sempre stati meno.
Qual è la situazione sociale, economica dei nostri emigrati?
E’
difficile generalizzare. In ogni caso, a St. Louis, per esempio,
l’integrazione è stata molto lenta, gli italiani sono rimasti proletari
fino alla fine della seconda guerra mondiale. Da quel momento in poi, le
cose sono cambiate e gli italiani oggi fanno i lavori più disparati.
Ovviamente, le nostre comunità sono molto impegnate nella ristorazione,
come vuole la tradizione italiana in generale.
Esistevano pregiudizi (positivi o negativi) nei confronti delle nostre
comunità, nel momento in cui queste sono arrivate e hanno iniziato a
integrarsi con il tessuto sociale locale?
Forse c’è stato, ma in realtà il pregiudizio era soprattutto nei
confronti dei meridionali, quindi i lombardi non sono stati condizionati
più di tanto da questo fattore. Ad esempio, ad Ellis Island (l’isola che
funzionava come stazione di smistamento per gli immigranti a New York)
gli italiani all’arrivo venivano divisi tra meridionali e
settentrionali, e anche all’interno dei settentrionali c’erano
differenze, per cui per esempio i trentini venivano smistati insieme ai
tirolesi.
L’emigrazione lombarda negli Stati Uniti è un argomento che è stato
sufficientemente analizzato oppure ancora molti studi dovrebbero essere
portati avanti per dare un quadro più completo di questa realtà?
Gli
studi sono numerosi però più a livello individuale e provinciale che
organico. Esiste anche il problema di salvare storie che si vanno
perdendo, problema rispetto al quale però è oramai tardi intervenire,
per l’ovvio motivo che queste storie si perdono quando scompaiono le
persone che le tramandano oralmente.
E
l’emigrazione lombarda di oggi negli Stati Uniti?
E’
un’emigrazione completamente diversa: è un’emigrazione di
professionisti, ricercatori, insegnanti o di persone che hanno
impiantato aziende. Esiste poi anche l’emigrazione di coloro i quali
vogliono cambiare vita e mettersi alla prova in ambienti completamente
nuovi: non parliamo di grandi numeri, ma è in ogni caso un fenomeno
anche questo.
Fabio Veneri |